«La vicenda Daouda non può rimanere impunita. Un uomo non può sparire nel nulla, senza lasciare traccia. Noi attendiamo che dalla Procura arrivi una risposta a ciò che è accaduto». Lo dice Michele Mililli, responsabile provinciale Usb, il sindacato di cui Daouda Diane, l’ivoriano scomparso da Acate il 2 luglio scorso, faceva parte. «Noi non ci fermeremo e continueremo a chiedere giustizia e a tenere alta l'attenzione» aggiunge Mililli.
Il sindacato ha promosso una raccolta fondi per la famiglia di Diane, che l’ivoriano manteneva con il suo lavoro in Italia. «Sono rimasti tutti senza reddito – noi abbiamo già mandato una prima somma alla moglie, manderemo altri soldi all’inizio di novembre. La moglie vorrebbe venire in Italia e seguire personalmente la vicenda. Non può accettare il fatto che il marito sia scomparso senza lasciare traccia. So che sono stati sentiti telefonicamente dagli inquirenti».
Le ultime tracce di Daouda sono quelle lasciate con un video e con le testimonianze di quanti lo hanno visto sabato 2 luglio all’interno del cementificio acatese. I titolari hanno sempre smentito che ci fosse un rapporto di lavoro e che piuttosto il lavoratore insisteva per presentarsi in azienda cercando di rendersi utile con qualche lavoretto. I legali della ditta hanno spiegato che Daouda aveva chiesto di poter lavorare, ma gli era stato opposto un diniego. Ma sarebbe stato accertato che l’ivoriano si era recato lì più di una volta e anche il giorno in cui è sparito ha comunicato ai suoi co-inquilini che avrebbe lavorato al cementificio.
Almeno due persone affermano che Daouda ha lasciato il lavoro uscendo dal cementificio. «Ci sono dei testimoni che affermano che l’uomo è uscito – spiega il procuratore di Ragusa Fabio D’Anna – Sulla strada non ci sono telecamere e all’esterno nessuno lo ha più visto». Ora la Procura attende l’esito degli esami del Ris, eseguiti però molti giorni dopo la sparizione. Sarebbe stata individuata la betoniera all’interno della quale Daouda avrebbe lavorato e dove avrebbe fatto il video con il telefonino, inviato poi al fratello in Costa d’Avorio. Quel video è stato effettuato poco prima della sparizione. L’uomo appare all’interno della betoniera, senza alcuna protezione e mostra il luogo in cui lavora «Qui si muore» dice.
L’uomo non aveva nessun motivo per sparire. Aveva comprato un biglietto aereo per far ritorno, il 21 luglio, nel suo paese, riabbracciare la moglie e il figlioletto di sette anni, che non vedeva da troppo tempo e che progettava di voler far trasferire in Italia, insieme a lui. Lavorava sodo per questo. Le indagini dei carabinieri hanno accertato che aveva mandato dei soldi alla moglie qualche tempo prima. Un’altra sommetta era a casa, l’avrebbe forse portata lui stesso in Costa d’Avorio. La Procura ha aperto un fascicolo per omicidio e occultamento di cadavere a carico di ignoti. Le indagini sono coordinate dal procuratore Fabio D’Anna e dal sostituto procuratore Silvia Giarrizzo. In Costa d’Avorio attendono la moglie Awa e il fratello Abou Koné e un’altra sorella, che lui aiutava economicamente.