RAGUSA – Due prefetture, sindacati, associazioni di volontariato e onlus: è la task force in campo per frenare la piaga del caporalato, almeno nello specifico nel quadrilatero dell’oro verde, tra le province di Ragusa e Siracusa, dove un modello di sviluppo possibile e riconosciuto non deve essere macchiato da chi massimizza i profitti negando i diritti ai lavoratori, anche i più elementari.
Il punto di partenza è stato fissato lunedì scorso, con l’avvio del progetto, finanziato con i fondi Fami, promosso dalle prefetture di Siracusa e Ragusa per un piano di contrasto allo sfruttamento e al caporalato. In questo progetto la Cgil è partner assieme ad altri soggetti quali la Caritas, l’Oim, l’associazione “We Care” e la coop Proxima. «In questo progetto coordinato dalle due Prefetture- spiega il segretario generale Cgil-Ragusa, Peppe Scifo- si svolgeranno azioni di contrasto al caporalato e allo sfruttamento, partendo dalla sensibilizzazione dei lavoratori immigrati ospitati nei circuiti dell’accoglienza Cas e Siproimi che sono diventati luoghi sempre più sensibili al problema del recupero di manodopera da impiegare nel lavoro principalmente agricolo. È un lavoro di rete che affronta la problematicità del settore, anche attraverso il coinvolgimento delle aziende e di tutte le istituzioni competenti».
Nei giorni scorsi, tra l’altro, proprio sulla questione caporalato la Cgil ha incassato un riconoscimento importante: è stata infatti accettata la costituzione a parte civile della Camera del Lavoro nel processo legato all’operazione denominata “Boschetari”, nelle campagne di Acate, svolta nell’ambito delle attività di contrasto del caporalato e del grave sfruttamento lavorativo. Lo scorso 20 dicembre, inoltre, il Tribunale di Catania ha condannato tre persone responsabili di tratta di esseri umani finalizzata allo sfruttamento lavorativo e sessuale. La banda di caporali reclutava in Romania uomini e donne per portarli in Italia a lavorare nelle serre della fascia trasformata del Ragusano. Le donne rimanevano spesso vittime di violenza sessuale e dello sfruttamento della prostituzione.
Gli schiavisti erano stati arrestati nell’estate del 2018 a seguito di un’operazione condotta dalla Squadra mobile di Ragusa. Le sentenze sono pesanti, proporzionate alla gravità del reato: infatti il giudice per l’udienza preliminare di Catania ha condannato a venti anni Lucian Milea, contestandogli anche il reato di riduzione in schiavitù oltre all’associazione per delinquere, tratta di esseri umani, alcuni dei quali minorenni, e sfruttamento pluriaggravato della prostituzione, anche minorile. Per quest’ultimi reati sono stati condannati a 17 anni e otto mesi Monica Iordan e a dieci anni Alice Oprea. Le vittime venivano attirate in Italia con l’inganno, la falsa promessa di un buon lavoro, di una sistemazione abitativa dignitosa e, poi, invece, private di ogni facoltà di negoziare condizioni di lavoro e di vita. Erano poi sottoposte di frequente a maltrattamenti di ogni genere, sia fisici che psicologici: chi si ribellava o tentava di fuggire veniva picchiato. Uomini e donne si trovavano, quindi, ad affrontare una condizione di vera e propria “schiavitù” dato che non percepivano denaro per il lavoro svolto, venivano privati dei documenti di identità, non potevano avere rapporti né con il proprio Paese né con gli abitanti del luogo dove si trovavano. Ritrovandosi così isolati, senza soldi e soprattutto senza documenti personali nessuno avrebbe potuto scegliere di lasciare l’Italia.
Alla prima udienza tenutasi presso il Tribunale di Catania, la Cgil ha fatto richiesta di costituzione di parte civile, assistita dall’avvocato Enrico Schembari di Ragusa. La costituzione di parte civile della Cgil di Ragusa viene ammessa, insieme a quella della Coop. Proxima. «Con la sentenza dello scorso 20 dicembre – dichiara ancora Scifo – il Giudice ha disposto una provvisionale di 10.000 euro per ciascuna delle parti civili costituite, compresa quindi la Cgil». Un punto fermo nella battaglia contro lo sfruttamento.