Partono dalla Tunisia di notte a bordo di piccole imbarcazioni o pescherecci, sempre a piccoli gruppi, per sfuggire meglio ai controlli e sperare di farla franca, anche una volta approdati sulle coste italiane. Li chiamano «sbarchi fantasma» appunto. Sono in gran parte giovani e disoccupati tunisini in cerca di un futuro migliore in Europa.
I numeri non sono ancora altissimi, ma comunque tali da preoccupare le autorità italiane, timorose di trovarsi di nuovo di fronte a uno scenario di immigrazione di massa dalla Tunisia come quello post-rivoluzione del 2011, quando in migliaia sbarcarono a Lampedusa. Inquietano gli inquirenti in particolare gli allarmi lanciati dai sindaci di Lampedusa e Pozzallo sul rischio che tra questi giovani si possano nascondere anche molti delinquenti e jihadisti.
Si tratta comunque di numeri importanti, letti anche dal lato tunisino. Nel solo mese di settembre, secondo il portavoce della Guardia nazionale, Khalipha Chibani, sono stati 554 gli arresti di migranti, fermati in mare o prima di imbarcarsi, dalle forze dell’ordine tunisine: il triplo rispetto al mese di agosto. Il picco si è manifestato nell’ultima settimana di settembre, complici le buone condizioni meteorologiche.
In aumento ovviamente anche il numero dei tentativi sventati di emigrazione verso le coste italiane, 17 solo nella settimana dal 24 al 30 settembre scorso, con l’arresto di 332 persone da parte delle autorità tunisine. E se quelli sventati sono probabilmente una minoranza rispetto ai tentativi andati a buon fine, sarebbe opportuno, secondo gli esperti, avviare una riflessione strategica seria.
Le partenze dalla Tunisia si differenziano rispetto a quelle dalla Libia per l’utilizzo di imbarcazioni da pesca e perché soprattutto i migranti tunisini sono molto spesso «migranti economici», ovvero nella maggior parte dei casi si tratta persone che vivono una vita precaria nel loro Paese e cercano un futuro migliore in Europa.
Ma dal Viminale c’è la piena consapevolezza che dalla Tunisia arriva il maggior numero di foreign fighters in Europa, per cui occorre accendere un riflettore su questi «sbarchi fantasma» che rischiano, per numeri e frequenza, di far saltare il collaudatissimo meccanismo dei controlli negli hotspot. Qualcuno in Italia mette in luce il fatto che molti di questi giovani sbarcati sulle coste italiane siano delinquenti che hanno potuto usufruire di provvedimenti di grazia o indulto che l’amministrazione tunisina è solita concedere durante alcune ricorrenze particolari.
Ma si tratta di una circostanza che l’ambasciata italiana a Tunisi in qualche modo smentisce, puntualizzando che «ogni anno, per la festa della fine del Ramadan, il governo libera i detenuti per i reati minori. Stiamo parlando perlopiù di piccoli consumatori di droga. Ed è sempre successo. Quindi non può essere ritenuto un elemento significativo per spiegare l’aumento delle partenze del 2017».
Per spiegare il fenomeno forse è più facile fare riferimento alla povertà, al mancato sviluppo di alcune regioni sfavorite e alla disoccupazione giovanile, che al sud raggiunge punte del 43%. In questo senso la cosiddetta Primavera araba ha fallito e i giovani tunisini che ormai partono dalle coste di Sfax, Monastir, El Haouaria, Zarzis ma anche da Biserta nel nord, ne sono perfettamente consapevoli, cercando altrove il futuro che sanno di non poter trovare in patria. Stanno partendo ragazzi molto giovani. Poveri, se non disperati.
Molti di loro riprovano la traversata di continuo mettendo a rischio la loro vita, convinti che sia l’unica possibilità per avere un futuro», ha dichiarato l’attivista tunisino Mounib Baccari dell’associazione Alarmphone di Watch the Med.
Su Tunisi sono puntati i riflettori dei Paesi occidentali, per il timore che una volta rallentati i flussi dalla Libia, possa nascere una nuova rotta dalla Tunisia. Anche per questo sono sempre più frequenti le visite di rappresentanti dell’Unione europea, di organizzazioni internazionali, nella capitale nordafricana al fine di ridefinire una politica migratoria globale sia in grado di gestire efficacemente i flussi nel rispetto dei diritti umani.