Catania. Né un «atto politico», né l’esercizio di un legittimo potere dello Stato. Ma «consapevolezza della “illegittimità” della restrizione dell’altrui libertà». Nelle 53 pagine con cui il tribunale di ministri di Catania (presidente Nicola La Mantia, giudici Sandra Levanti e Paolo Corda) motiva la richiesta di autorizzazione a procedere al Senato nei confronti di Matteo Salvini per il reato di sequestro di persona aggravato, anche «per esser stato commesso in danno di soggetti minorenni», c’è una “lezione” sul tanto decantato (dai politici) ossequio alla Costituzione.
«L’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare», scrivono i magistrati catanesi. Poiché, sostengono, «le Convenzioni internazionali cui l’Italia ha aderito costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato e, in base agli art. 10, 11 e 117 della Costituzione, non possono costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’autorità politica».
«È convincimento di questo tribunale – si legge nella relazione dei tre giudici – che le risultanze delle indagini preliminari consentano di ritenere fondata la notizia criminis a carico dell’attuale ministro dell’Interno in ordine al delitto di sequestro di persona contemplato dall’articolo 605 essendo ipotizzabile che il senatore Matteo Salvini, nella sua veste di ministro e pubblico ufficiale, abbia abusato delle funzioni amministrative attribuitegli».
Il ministro Salvini sapeva che a bordo della nave Diciotti ci fossero anche dei minori non accompagnati e nonostante ciò non ha autorizzato subito lo sbarco. In questo modo avrebbe violato le Legge Zampa del 2017, che «sancisce il divieto assoluto di respingimento ed espulsione dei minori extracomunitari non accompagnati». «Ciò nonostante lo sbarco dei 29 minori veniva autorizzato dal ministro Salvini solo la sera del 22 agosto è solo dopo l’intervento della procura per i minori di Catania».
Nelle motivazioni della richiesta di processare il ministro dell’Interno, i magistrati – con grande scrupolo – analizzano a contrariis le motivazioni che avrebbero potuto motivare il mancato sbarco dei migranti ospitati a bordo della Diciotto e tenuti in “ostaggio” al porto di Catania. Sottolineando «l’assenza di cause di giustificazione e le “finalità politiche” perseguite dal Ministro dell’Interno». Ha adempiuto al compito di proteggere l’Italia da pericoli per la sicurezza? Non per i giudici etnei, secondo i quali «nel caso di specie, va osservato come lo sbarco di 177 cittadini stranieri non regolari non potesse costituire un problema cogente di “ordine pubblico” per diverse ragioni, ed in particolare: a) in concomitanza con il “caso Diciotti”, si era assistito ad altri numerosi sbarchi dove i migranti soccorsi non avevano ricevuto lo stesso trattamento; b) nessuno dei soggetti ascoltati da questo Tribunale ha riferito (come avvenuto invece per altri sbarchi) di informazioni sulla possibile presenza, tra i soggetti soccorsi, di “persone pericolose” per la sicurezza e l’ordine pubblico nazionale». Invece, Salvini poneva «arbitrariamente il proprio veto all’indicazione del Pos da parte del competente dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione… così determinando la forzosa permanenza dei migranti a bordo della Diciotti, con conseguente illegittima privazione della loro libertà personale per un arco temporale giuridicamente apprezzabile e al di fuori dei casi consentiti dalla legge».
E proprio su questo punto c’è un atto delle indagini citato nelle motivazioni della richiesta. «Il ministro dell’Interno non ha ancora formalmente comunicato il Pos (il porto sicuro, ndr) e quindi tutta la catena di comando, dal centro verso la periferia, rimane bloccata in attesa delle determinazioni di carattere politico del signor ministro dell’Interno». È quanto ha riferito ai magistrati di Agrigento (i primi ad aprire il fascicolo sulla vicenda) il capo del Dipartimento delle libertà civili e immigrazione del Viminale, il prefetto Gerarda Pantalone, in merito alla mancata assegnazione del Pos alla Diciotti lo scorso agosto. I giudici affermano che il centro di coordinamento dei soccorsi di Roma (Imrcc) ha avanzato al Dipartimento tre diverse richieste di Pos, il 15, il 17 e il 24 agosto. E ci sono state «rettifiche sospette» da parte dei prefetti del Viminale ascoltati dai magistrati.
Può essere lo stop di Salvini, allora, un atto che rientra fra quelli «politici insindacabili»? Neanche questo, secondo i giudici di Catania: quello del titolare del Viminale «costituisce piuttosto un atto amministrativo che, perseguendo finalità politiche ultronee rispetto a quelle prescritte dalla normativa di riferimento, ha determinato plurime violazioni di norme internazionali e nazionali, che hanno comportato l’intrinseca illegittimità dell’atto amministrativo censurata da questo Tribunale».
Finisce qui il provvedimento dei giudici. Che, secondo l’Anm, sono ingiustamente attaccati da Salvini con dichiarazioni «irrispettose verso i colleghi nei toni di derisione utilizzati e nei contenuti, anche laddove fanno un parallelismo tra i tempi di redazione di un provvedimento giurisdizionale, come noto previsti dalla legge, e il funzionamento di un’azienda privata. Il rischio di una delegittimazione della magistratura, il cui operato viene fatto nel rispetto delle leggi dello Stato, è alto e va assolutamente evitato», scrive l’Anm. Sulla vicenda interviene anche la giunta distrettuale dell’Anm di Catania, esprimendo «solidarietà e vicinanza nei confronti dei colleghi interessati, nominativamente indicati dal Ministro ed esposti all’orientato giudizio dell’opinione pubblica, certi che continueranno a svolgere con serenità, equilibrio ed indipendenza il compito loro assegnato dalla carta costituzionale».
Twitter: @MarioBarresi