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Il ritorno di Don Raffaele: tra baciamano e pizzini riecco la mafia d’altri tempi

Di Rita Cinardi |

ENNA – Una mafia di altri tempi, fatta di baciamano e pizzini, ma anche disposta ad affidare a una donna un ruolo chiave. Da un lato la figura del boss, Raffaele Bevilacqua, personaggio carismatico, arrivato al vertice di Cosa Nostra a Enna per diretta investitura di Bernardo Provenzano, dall’altro i suoi fedelissimi, che pur non vedendolo da anni, non esitavano a obbedire senza discutere ai suoi ordini impartiti tramite la figlia. E’ questo il quadro che emerge dall’operazione «Ultra», condotta dai carabinieri del Ros e coordinata dalla Dda di Caltanissetta, che oggi ha portato all’arresto di 46 persone tra la Sicilia e Wolfsburg in Germania. Ristretto al 41 bis «don Raffaele» continuava a mantenere i rapporti con l’esterno tramite la figlia, Maria Concetta Bevilacqua, suo avvocato di fiducia che, proprio in qualità di legale poteva far visita al suo assistito al riparo dalle intercettazioni. Ed è proprio la figlia, Maria Concetta, finita ai domiciliari, una delle figure cardine dell’operazione, non solo come portavoce del padre ma anche nell’elaborazione delle strategie criminali.

Per l’avvocatessa era motivo di orgoglio che un vecchio affiliato al clan avesse fatto il baciamano a suo padre Raffaele, riconoscendo così il suo ruolo di capo della famiglia mafiosa nonostante la lunga detenzione in carcere. Quella “liturgia» mafiosa, ancora oggi rispettata dagli affiliati, suscitava nell’avvocato Maria Concetta Bevilacqua «orgoglio e complicità col padre, uomo d’onore di Cosa Nostra le cui azioni – scrive il Gip nella sua ordinanza – vengono ritenute degne di essere raccontate ai figli quasi fossero gesta eroiche».

Quando era necessario però anche la figlia del boss faceva valere la sua posizione. Bevilacqua aveva deciso di organizzare un omicidio e lei reagì in malo modo ritenendo che la commissione di un delitto a soli 5 mesi dalla scarcerazione avrebbe attirato su di loro l’attenzione degli investigatori. Tanto che non esitò di dire al padre, senza mezzi termini, ‘Io i tuoi ordini li cambio perché se tu sei ai domiciliari ti ci ho fatto arrivare iò». In carcere sono finiti anche gli altri due figli di Bevilacqua, Flavio e Alberto che si occupavano di tenere i contatti con gli altri affiliati e di concordare le azioni da intraprendere. Il ricorso ai pizzini è l’altro elemento che denota una collaudato moduis operandi. Decine quelli che sono stati trovati nelle case di Catania e Barrafranca del boss. I pizzini venivano consegnati al destinatario e conservati anche da chi li scriveva per conservare una sorta di archivio delle loro attività. I reati contestati ai 46 indagati, a vario titolo, sono associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico e allo smercio di stupefacenti, estorsioni, corruzione aggravata dall’avere favorito l’associazione mafiosa, detenzioni di armi e assistenza agli associati.

L’indagine è stata avviata nel maggio 2018, in seguito alla concessione del beneficio della detenzione domiciliare, per ragioni di salute, al boss di Enna, già condannato per associazione mafiosa nel cosiddetto processo «Leopardo». Raffaele Bevilacqua, tra la fine degli anni ’80 e i primi anni del 2000, era stato anche un esponente di spicco della Democrazia Cristiana, componente del direttivo della Dc e in strettissimi rapporti con Salvo Lima. Un territorio difficile quello di Barrafranca, come è stato sottolineato dagli inquirenti, al centro negli ultimi anni di fatti di sangue e delitti e in cui continua ad essere presente uno stretto rapporto tra mafia e pubblica amministrazione. Nella stessa operazione è stato arrestato anche un dirigente comunale e il sindaco, Fabio Accardi, è stato raggiunto da un avviso di garanzia per tentata corruzione. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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