Cronaca
Il retroscena: Rosario e i “ninja della legalità”, l’ultima sfida al Pd prigioniero
Il governatore, auto-ricandidato con il suo Riparte Sicilia, ha decisamente cambiato strategia. È tornato il “Saro superman dell’antimafia”. Un elefante nella cristalleria del tutoraggio dei partiti (il suo, in primis) sul Crocetta Quater. Dalla difesa all’attacco. Su tutto: disabili, mercato di Vittoria, 118, cartelle esattoriali. In un fiorire di scandali, denunce e dossier. Con tutti i “ninja della legalità” – gli stessi in prima fila agli apericena per finanziare il movimento, come quello in programma oggi a Catania – in campo per scovare magagne e «notizie bomba», che in tempo reale arrivano dagli uffici, non solo delle Procure, ai giornalisti. «Loro vogliono farmi galleggiare e poi affogarmi all’improvviso – si sfoga il presidente con i suoi – ma io nuoto veloce e a testa alta, non mi fermo più». Il che è una risposta – studiata con gli sherpa più fidati – a chi, nel Pd e nella coalizione, non fa più mistero di «un presidente politicamente al capolinea», da sterilizzare da qui alla scelta di un altro candidato.
Lo scenario è chiaro. Crocetta e la sua maggioranza sono come una coppia consapevole di un matrimonio finito, in cui l’uno aspetta che sia l’altra a lasciare. Ma nessuno lo fa. Aspettando «l’occasione». Quella giusta. Che forse, derubricato il caso Tutino-Borsellino, non arriverà più. Certo è che più di uno, nel anche nel Pd non renziano, oggi riconosce che «Davide aveva ragione». Faraone, il sottosegretario in pista per le Regionali, l’unico a chiedere dal 2015 – tanto a Roma quanto a Palermo – di «staccare la spina» a Crocetta. Oggi l’operazione è complicata, quasi impossibile. Perché il presidente è più forte. Grazie alle debolezze altrui. Del Pd, soprattutto. Ammaccato dall’esito referendario (disastroso nell’Isola) e infilato nel tunnel congressuale.
Ma fino a quando si potrà rinviare? «Il Pd non può avventurarsi nella guerra di tutti contro tutti», dice l’assessore Antonello Cracolici. Che, pur rivelando che «l’appoggio a Crocetta non è in discussione», invoca, «con decisione e senza aspettare le dinamiche congressuali», un «deciso passo del partito», verso «la chiarezza sulla metodologia delle primarie, in cui chi vorrà, compreso Crocetta, potrà misurarsi». Uno schema che non dispiace a Raciti, soprattutto nella versione «di coalizione» che terrebbe dentro gli alleati oggi vogliosi di scendere giù dal treno crocettiano. A partire dai Centristi di Gianpiero D’Alia. I quali, rammenta un autorevole dirigente, sono già in trincea. «Non indicheremo il successore dell’assessore Micciché», è la tattica d’attesa.
Prima di ufficializzare, il 26 marzo, «l’addio a Crocetta». Che sia la «grande occasione» attesa dai “falchi” del Pd? È troppo tardi, purtroppo – ammettono sul fronte dem – anche «perché daremmo a Crocetta il vantaggio di gestire un bilancio e una finanziaria “elettorali”, senza avere premi da un elettorato che non capirebbe un’uscita tardiva». Ma blindare le primarie è l’obiettivo minimo per tutto il Pd. Anche perché le sirene moderate attirano Ncd, Centristi e Sicilia Futura. «E poi a queste condizioni – ricordano i D’Alia-boys – diventa difficile costruire una coalizione di centrosinistra, tutt’altro che scontata anche considerato l’imbarazzato silenzio del Pd rispetto agli ultimi fatti gravi». L’alternativa? Il “modello Orlando”, con «una personalità forte», come è stato il sindaco a Palermo, che «faccia fare un passo indietro ai partiti». Per un «progetto di salute pubblica che vada oltre gli schieramenti». Suggestioni? Forse.
Crocetta, sia ben inteso, la lista degli assessori del “governo del presidente” l’ha già scritta e la tiene ben nascosta nel comodino. Ma non la tirerà fuori finché non sarà l’altra metà della coppia – il tentennante Pd – a dire «lasciamoci». Anche perché, se fosse il governatore a rompere, ricorda con sommessa statistica un deputato del Pd, «venti minuti dopo gli stamperemmo una mozione di sfiducia che passerebbe col record mondiale dei voti in aula: 90 su 90, perché lui all’Ars non ha nemmeno un deputato».
Anche questa, però, è un’ipotesi recondita. «A Sala d’Ercole – ammettono dagli scranni centristi – si respira un clima di smarrimento. L’ottanta per cento dei deputati ha la quasi certezza di non essere più rieletto».
Ed è per questo che, forse, di qui a ottobre non succederà nulla di rivoluzionario. Eccetto il ritorno, prorompente, di Saro il Rivoluzionario.
Twitter: @MarioBarresi
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