l'analisi
Il “pizzo” resta una piaga in Sicilia: il sacrificio di Libero Grassi è servito davvero?
Trentaquattro anni fa la sfida di Grassi agli estortori, ora questi viaggiano tra le province dell’isola e aspettano l’imprenditore che a loro si rivolge per ottenere la protezione
Trentaquattro anni fa la sfida di Libero Grassi agli estortori, adesso questi viaggiano in lungo e in largo nelle province dell’isola e stanno lì ad aspettare l’imprenditore che scientemente a loro si rivolge per ottenere la protezione. La lezione di vita di Libero Grassi a poco o nulla è servita in una terra in cui il malaffare continua a dettare le sue regole e lo fa con la consapevolezza che prima o poi qualcuno si rivolgerà al picciotto di turno. Le denunce sono scarse nei distretti giudiziari. E anche quando gli investigatori hanno in mano la certezza dell’estorsione, c’è chi è pronto a negare anche quello che indirettamente viene confessato durante una intercettazione telefonica.
Le norme ci sono ma…
Da parte sua lo Stato ha scritto delle norme per sostenere le vittime di racket e di usura, nonostante questo però quel muro di omertà è come una muraglia difficile da abbattere. Così quest’anno abbiamo chiesto ad alcune associazioni presenti nel territorio cosa scriverebbero alle vittime che non hanno denunciato. «Carissimo sei una persona che sta alimentando il malaffare, sei ancora in tempo per cambiare strada, per denunciare. Lo puoi fare anche tu». È questo l’appello di Rosario Cunsolo di Libera Impresa. «Fatti forza, coraggio. Ci sono tanti strumenti che lo Stato mette a disposizione, tra cui congrui risarcimenti per i danni subiti», aggiunge Nicola Grassi dell’associazione antiracket di Catania dedicata a “Libero Grassi” che è nata 33 anni fa. Lo scoramento, però, sta prendendo il sopravvento perché nulla è cambiato nella nostra isola. Anzi c’è una continua richiesta agli esponenti mafiosi di “servizi paralleli” che vanno dalle diatribe personali fino alla riscossione dei crediti. Fenomeni che sono in continua crescita in particolare da quando la crisi economica è pressante.
Associazioni parte civile
L’associazione Fai antiracket ha deciso di costituirsi parte civile a Palermo nei confronti di alcuni imprenditori che non hanno denunciato il pizzo e sono finiti in aula per favoreggiamento. E non sta lasciando indietro gli associati che hanno deciso di denunciare. Capitolo a parte i casi relativi all’usura dove dimostrare i casi è sempre difficile «e c’è il rischio che le banche chiudono i rubinetti – dice Cunsolo – e molti preferiscono non denunciare perché l’usuraio, in un modo o nell’altro, riesce a garantire l’elargizione di denaro e anche in tempi immediati».Poi c’è qualche paradosso, imprenditori che puntano l’indice contro l’uno o l’altro mafioso dopo aver siglato un patto di lealtà, e altri che vedono allungare i tempi per ottenere giustizia perché all’interno delle aule di tribunale c’è carenza di giudici (o eventuali incompatibilità) per incardinare il procedimento in aula.
Cambiare registro
Per cambiare registro bisogna cambiare mentalità, dal punto di vista socio culturale c’è diffidenza nei confronti dello Stato che deve affrontare l’argomento della mancanza di denunce e chiamare a raccolta tutti gli attori con i quali siglare un’ora di sensibilizzazione seria. Ma bisogna evitare la montagna di protocolli di legalità, così come è avvenuto circa quindici anni fa, che nel tempo si sono rivelati un bluff «per dare soldi a pioggia per aprire sportelli antiracket attraverso i fondi Pon», ricorda Nicola Grassi. E l’effetto di questa decisione è stato quello di carrierismi di paladini dell’antiracket. Un fenomeno che in Sicilia si è trasformato in boomerang con inchieste che hanno coinvolto i presidenti e associati di vertici che dietro la casacca della legalità si sarebbero resi protagonisti di escamotage fiscali. E molte indagini sui “paladini” ancora non sono concluse. Dietro l’angolo ulteriori scossoni giudiziari.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA