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Il nuovo “sacco” di Palermo: così la città ripiomba nel buio tra cemento e mazzette

Di Redazione |

PALERMO – Un «comitato d’affari composto da imprenditori e professionisti in grado di incidere sulle scelte gestionali di pubblici dirigenti e amministratori locali, i quali avrebbero asservito la pubblica funzione agli interessi privati, in modo da consentire di lucrare indebiti e cospicui vantaggi economici nel settore dell’edilizia privata». Così gli inquirenti descrivono quanto emerso dall’indagine Giano Bifronte, sfociata negli arresti domiciliari per due consiglieri comunali di Palermo, due funzionari dello stesso Comune, un architetto e due imprenditori. L’obiettivo del “comitato d’affari” era la lottizzazione di aree industriali dismesse del Comune di Palermo: vaste superfici in via Maltese, via Messina Marine e via San Lorenzo in cui costruire e gettare nuovo cemento.

Una indagine che in un sol giorno riporta il capoluogo siciliano agli anni forse più bui della sua storia, gli anni del cosiddetto “sacco di Palermo”, il boom edilizio avvenuto tra gli anni cinquanta e sessanta grazie agli accordi tra mafia e politica che stravolse la fisionomia architettonica della città. In un commento dei deputati all’Ars del M5s questo passaggio è ben sintetizzato: «Palermo non si smentisce. Il cemento continua a essere la merce di scambio della criminalità e della politica compiacente. E’ avvenuto per mano di Ciancimino, cancellando per sempre il volto Liberty della città. E’ avvenuto per mano degli assassini di Mattarella, grande oppositore della speculazione edilizia. Avviene oggi con la complicità di burocrati, politici e imprenditori».

«La nostra Palermo subisce così un ennesimo grave colpo all’immagine», dice la Cisl cittadina con parole che ben fanno capire lo stato d’animo della città dopo l’operazione di Guardia di Finanza e carabinieri. «Questa indagine non getta ombra sulla mia amministrazione» si affretta a dire il sindaco Leoluca Orlando, ma certamente crea un terremoto nella sua maggioranza. 

I politici

Ai domiciliari, infatti, sono finiti Giovanni Lo Cascio, capogruppo del Pd, che il commissario regionale dem Alberto Losacco ha sospeso, e Sandro Terrani, che guida invece il gruppo di Italia Viva. Secondo l’accusa i due sarebbero stati perfettamente inseriti nel “comitato d’affari” descritto dal Gip di Palermo, Michele Guarnotta. Lo Cascio infatti è presidente della commissione Urbanistica, lavori pubblici, edilizia privata e residenziale pubblica, mentre Terrani è componente della Commissione Bilancio e Finanze.

E coinvolto, anche se non indagato, c’è l’ex assessore comunale Emilio Arcuri che entra in questa indagine per una conversazione telefonica avvenuta il 17 gennaio 2019, in cui si diceva contrario a firmare gli atti relativi alla modifica del Piano regolatore generale che avrebbe consentito l’edificazione a scopi abitativi delle ex aree industriali.  Arcuri allora era vicesindaco e doveva firmare le proposte deliberative proponendone l’adozione al Consiglio Comunale. «Sono atti che ho firmato pure io… col mal di pancia», dice al telefono facendo capire che avrebbe preferito un diverso utilizzo della aree oggetto dei progetti. «Perché dico: – prosegue – Io unn’avissi fattu manco questi! -. Però, voglio dire, pensate al riuso di quegli spazi piuttosto che immaginarli come aree edificabili».  A indurre poi Arcuri a firmare era stato il dirigente comunale Mario Li Castri che lo aveva convinto giustificando l’atto amministrativo con il risparmio di cubatura. 

Insomma, Arcuri era contrario ma alla fine firmò. E proprio Arcuri era in procinto di rientrare in questi giorni nella giunta Orlando in un nuovo rimpasto che il sindaco si apprestava a fare dopo che nell’ultimo lo aveva sostituito.  Orlando ha difeso Arcuri e le sue scelte affermando che i suoi sono stati atti dell’intera Giunta, ma è stato lo stesso Arcuri oggi a fare un passo indietro e a revocare la propria disponibilità ad assumere l’incarico di assessore.  

I dirigenti comunali

Ce’è poi il ruolo dei due funzionari comunali arresti, Mario Li Castri, 54 anni, già dirigente dell’Area Tecnica della Riqualificazione Urbana e delle Infrastrutture, Giuseppe Monteleone, 59 anni, già dirigente dello Sportello Unico Attività Produttive. Secondo quanto scrive il Gip che li ha fatti arrestare per corruzione i due «continuano a godere di un’ampia fiducia all’interno degli organigrammi comunali» e per questo si è resa necessaria la misura cautelare. Per il magistrato sarebbe «pericoloso per il buon andamento della macchina comunale continuare ad affidare funzioni di rilievo a due soggetti palesemente inclini a delinquere».

«Neppure va sottaciuto – aggiunge – quanto emerso all’esito del processo di primo grado in cui entrambi sono risultati condannati per il reato di lottizzazione abusiva. Proprio nell’ambito di quella vicenda, è emersa con forza la vera e propria indifferenza dei due dirigenti comunali per i beni pubblici legati alla tutela dell’ambiente e al buon governo del territorio che, nell’ottica di chi dirige uffici all’interno di qualsiasi Area tecnica comunale, dovrebbero semmai rappresentare un vero e proprio faro atto a guidare ed illuminare ogni scelta amministrativa».

«Li Castri continua a tutt’oggi a vantare un inusitato potere decisionale in relazione all’intera organizzazione comunale», prosegue. Il gip sottolinea anche «la strettissima contiguità che, nonostante le recenti vicende giudiziarie che lo hanno riguardato, continua a legare Li Castri all’assessore Emilio Arcuri, contiguità ad esempio tradottasi in vere e proprie richieste di suggerimenti e nulla-osta che l’assessore ha avanzato sulle modalità con cui ruotare gli incarichi dirigenziali all’interno dell’Area tecnica comunale».

I costruttori

Ci sono poi coinvolti costruttori (Giovanni Lupo, 77 anni, di San Giovanni Gemini e Francesco La Corte, 47 anni, originario di Ribera)  e professionisti (Fabio Seminerio, 57 anni, architetto), uomini che secondo il Gip «parrebbero pacificamente vedere nella corruzione una sorta di costo “necessario” dei rispettivi lavori, stabilmente preso in considerazione al fine di acquistare gli indebiti favori di pubblici ufficiali che possano coadiuvarli nella realizzazione dei rispettivi obiettivi economici».

Per il Gip è «insidiosa ed allarmante» la tipologia di corrispettivi erogati ai pubblici ufficiali infedeli, che «solo di rado, si è concretizzata nella promessa o nella dazione della tradizionale “mazzetta”, mentre in molti altri casi si è sostanziata in un complesso reticolo di assegnazioni di remunerativi incarichi professionali, tramite i quali è spesso riuscito più agevole anche occultare le correlate cause illecite sottostanti. Del resto, proprio l’assegnazione di detti incarichi – si legge nell’ordinanza -, oltre che meno appariscente delle classiche “tangenti”, rappresenta in realtà uno strumento con cui il pubblico ufficiale infedele può essere “agganciato” in modo pressoché stabile, ritrovandosi inevitabilmente il soggetto corrotto in una posizione di stabile “gratitudine” e, dunque, di stabile soggezione, dinanzi ai propri corruttori».

Avevano fretta, facevano pressioni per velocizzare i procedimenti amministrativi, brigavano perché il Consiglio Comunale di Palermo approvasse velocemente le variazioni al piano regolatore generale che avrebbero consentito di costruire centinaia di case nelle ex aree industriali palermitane. Soldi, tanti soldi in vista che facevano gola a imprenditori, dirigenti comunali, ma anche alla politica e ai professionisti. Tutti insieme, seduti attorno al tavolo del malaffare, per spartirsi guadagni illeciti e tornare a riempire di cemento la città.

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