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Il nuovo romanzo criminale di Maurizio Avola: «Dai delitti per i servizi segreti all’omicidio del boss della Magliana»

Secondo il killer catanese a uccidere Enrico "Renatino" De Pedis a Roma nel 1990 fu Aldo Ercolano

Di Laura Distefano - Laura Mendola |

All’ennesima versione sulla posizione della macchina di Paolo Borsellino in via D’Amelio, il gip Santi Bologna è stato chiaro: «Signor Avola, quale è la ricostruzione corretta. Questa è la sede idonea per dire la verità». Diverse sono le contraddizioni che sono emerse durante le risposte del sicario dei Santapaola: sulla ricostruzione di alcuni incontri, sugli orari, sul tipo di esplosivo e il colore. Sono state innumerevoli infatti le contestazioni fatte ad Avola dai legali di parte civile e dai difensori degli indagati (Aldo Ercolano, Marcello D’Agata ed Eugenio Galea) nell’inchiesta sulle stragi del 1992 su cui pende una richiesta di archiviazione della procura a cui si è opposto l’avvocato Ugo Colonna, legale del collaboratore di giustizia. Anche se il killer catanese è fuori dal programma di protezione da diverso tempo.

Il secondo round dell’incidente probatorio, svoltosi ieri per oltre otto ore a Caltanissetta, è stato ricco di colpi di scena. E di rivelazioni inedite. Un nuovo romanzo criminale è stato servito. Il riferimento in questo caso non è casuale per niente. Perché Maurizio Avola, su diretta domanda dell’avvocato Fabio Repici (legale di Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso), racconta di aver «fatto diversi omicidi per conto dei servizi segreti prima del mio arresto nel 1993». Delitti però di cui «non parlerò mai, nemmeno sotto tortura, perché rischierei la vita».

Chi uccise De Pedis?

Ma se è restio a fare i nomi di chi avrebbe freddato personalmente, non ha alcun problema a (ri)puntare il dito contro il suo ex capo mafioso Aldo Ercolano che sarebbe il killer di Enrico De Pedis. Il boss della Banda della Magliana fu ucciso il 2 febbraio 1990. Avola – calpestando sentenze e inchieste giornalistiche – ha raccontato di aver accompagnato il nipote di Nitto Santapaola a Roma, vicino Campo dei Fiori. Il dandy della mala romana avrebbe voltato le spalle a Ercolano mentre discutevano e questo avrebbe fatto innervosire il mafioso catanese che gli avrebbe sparato. Il movente? Non è chiaro. Avola fa un collegamento con gli investimenti che accomunavano Ercolano con De Michelis e un altro imprenditore (della moda). E forse De Pedis avrebbe creato dei problemi. L’incontro sarebbe dovuto servire a chiarire la questione, ma poi le cose sarebbero precipitate. Anche se a dire di Avola, Ercolano avrebbe comunque avuto l’autorizzazione «della famiglia» al possibile omicidio.

Un episodio inedito, ma che in realtà sarebbe stato già raccontato da Ugo Colonna alla commissione antimafia e che emerge da alcune intercettazioni finite in un’informativa. A tal proposito Repici ha compulsato Avola anche sugli affitti pagati dal suo legale, che sono state ieri al centro di un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano. Facendo riferimento alle notizie stampa, durante le pause i protagonisti dell’udienza hanno commentato il lancio de LaPresse sul furto subito da Colonna a fine maggio nel suo studio romano. L’avvocato ha anche un video dove si vede un uomo con un berretto che si aggira nell’ufficio e ruba il pc. Le indagini sono affidate alla polizia romana.

La missione a Firenze

Avola, rispondendo alle domande, ripercorre anche gli anni in cui il clan lo avrebbe mandato a Firenze per trovare un obiettivo sensibile. E lui avrebbe individuato il Donatello. Dalla Toscana sarebbe partito alla volta della Sardegna per fare una cosa. «Non vi posso dire cosa è. Perché è una cosa troppo grossa». Anche in questo caso rischierebbe la vita se la dovesse rivelare.

Tornando al cuore dell’udienza, Avola sulla strage di via D’Amelio ha spiegato che Borsellino il 19 luglio del 1992, prima dello scoppio della 126, avrebbe invertito il senso di marcia della macchina. Un episodio che nei due verbali di interrogatorio non ha mai detto. Parlando dei fratelli Graviano, invece, ha raccontato che è stato lui a cercare loro una casa a Giardini Naxos, nel Messinese, per trascorrere le vacanze. Dinnanzi al giudice lo stesso collaborante, a differenza di Gaspare Spatuzza, ha detto che la Fiat 126 utilizzata per la strage è stata imbottita di tritolo il sabato pomeriggio. Ricordi diversi rispetto ai racconti già fatti in interrogatori e udienze precedenti.

Questo capitolo, quindi, si è concluso. Ora si passerà allo step successivo. Vedremo cosa deciderà il gip Bologna. Archiviare o andare avanti con altre indagini. Ma nel codice di procedura penale è anche prevista l’imputazione coatta. Non resta che attendere.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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