CARONIA – Questa brutta storia comincia con una bugia. «Vado al centro commerciale di Milazzo con Gioele, gli compro le scarpe». Lunedì mattina, il 3 agosto, Viviana Parisi esce di casa con questo progetto. Almeno secondo quanto racconta il marito Daniele Mondello agli uomini della squadra mobile di Messina.
Ma non è andata così. La mamma-deejay (ritrovata morta sabato sera a Caronia) cambia programma. Oppure mente sin dall’inizio. Viviana e Gioele non andranno a fare shopping. A bordo dell’Opel Corsa grigia partono da Venetico e arrivano a Milazzo. Ma sono solo di passaggio: non ci sarebbe alcuna traccia di una loro presenza nella zona commerciale. Del resto il tempo di percorrenza, circa quindici minuti con un’andatura moderata, coincide con l’orario della presunta uscita da casa e il primo avvistamento dell’auto. All’imbocco del casello di Milazzo, con un fotogramma (molto sfocato) compatibile con la presenza del bambino dentro l’auto.
Parte da qui la “pista delle bugie”. Non l’unica, ma una delle più robuste, per scoprire la verità. Al netto del “perché” Viviana avrebbe mentito al marito, le indagini in questa fase privilegiano il “come”. Con il tentativo di ricostruire cosa davvero abbia fatto la donna. Gli elementi concreti sono pochi. Ma comunque utili a restringere il campo delle ricerche. Dal casello di Milazzo, l’Opel Corsa percorre l’autostrada Messina-Palermo fino all’uscita di Sant’Agata di Militello: 78,5 chilometri, percorribili in 40-50 minuti. Alle 10,30 il varco registra l’ingresso dell’auto (con “mancato pagamento” e scattando una foto della sola targa), mentre nel portaoggetti verrà ritrovato un biglietto di uscita, sempre dal casello di Sant’Agata, con l’orario delle 10,52. Sono gli ormai famigerati «ventidue minuti di buco» di cui ha parlato il procuratore di Patti, Angelo Cavallo. Un lasso di tempo in cui può succedere tutto e il contrario di tutto.
Più le ricerche di Gioele (vivo o morto) continuano senza riscontro e più diventa importante cosa sia successo prima che la madre (con o senza di lui) riprenda il viaggio sull’A20 interrotto poi dall’incidente con un furgoncino di una ditta di manutenzione nei pressi della galleria di Pizzo Turda.
A dire il vero delle verifiche erano state già fatte negli scorsi giorni. Ma nelle ultime 24 ore, dopo il ritrovamento del solo cadavere della mamma, le indagini – mentre in parallelo le ricerche a Caronia proseguono senza sosta – si sono concentrate su questo territorio. Il locale commissariato, in alcuni casi con l’aiuto dei vigili del fuoco, ha scandagliato quelli che vengono definiti «luoghi sensibili»: alcuni pozzi (pubblici e privati), anfratti e cunicoli di un torrente senz’acqua, l’ampia vegetazione a valle di una piazzola sulla Statale. Nessun risultato, fino a questa mattina.
Ma, così come un altro caso (quello di Veronica Panarello e del piccolo Loris) a cui questa vicenda sembra assomigliare sempre di più col passare dei giorni, nella “pista delle bugie” sono decisive le telecamere. Ed è nei frame delle immagini di videosorveglianza che si cerca di scavare. Molto rari (e in gran parte poco utili), in paese, gli impianti pubblici. Qualcosa di più gli investigatori contano di cavare da quelli privati: banche e negozi, soprattutto.
Un lavoro complicato, in corso in queste ore, non soltanto «per addizione», ma anche «per sottrazione». Partendo da quelli che vengono definiti «i tre percorsi possibili» che l’auto di Viviana avrebbe potuto compiere nei 22 minuti di permanenza a Sant’Agata. Andando per esclusione rispetto ad alcuni dati «coerenti ma ancora senza certezza», si potrà rispondere a un dubbio che diventa sempre più inquietante col passare delle ore, a maggior ragione se nella boscaglia sotto l’autostrada, all’altezza di Caronia, non si dovesse trovare la minima traccia del corpicino o degli indumenti del bambino: Gioele era ancora in auto nell’ultimo tragitto di 14 chilometri dal casello alla galleria dell’incidente e dunque al luogo dov’è stato trovato il corpo della madre?
E qui, esaurite le (poche) molliche di pane della “pista delle bugie”, si arriva al luogo-madre dell’indagine. Un quadrilatero di circa 500 ettari, con dentro la piazzola di sosta dov’è stata abbandonata l’auto. Con dentro soldi (150 euro), documenti e telefonino. Il corpo di Viviana – in impressionante stato di composizione, con appena una ciocca di capelli in testa, indosso maglietta e pantaloncini in jeans, una sola Adidas “Stan Smith” al piede, l’altra in un cespuglio vicino – è al momento l’unico elemento oggettivo da cui ripartire. Il marito Daniele ieri è arrivato di buon mattino. «È venuto qui non per guardare il luogo dove è stata ritrovata la povera Viviana – racconta un parente al sito di Repubblica – ma per cercare Gioele. Siamo distrutti da tutto questo». E il padre, distrutto, incalza i soccorritori: «Se mio figlio è davvero qui, dobbiamo trovarlo. Ditemi cosa posso fare per aiutarvi».
Quando il procuratore Cavallo e gli investigatori ripetono che «tutte le ipotesi restano aperte» non è un banale luogo comune per anestetizzare microfoni e taccuini. «Un incidente, un incontro sfortunato, persino un atto estremo», ha detto il magistrato sabato sera. E fino a oggi – l’autopsia, all’inizio ipotizzata per domani, sarebbe stata anticipata – sarà davvero così, a meno di clamorosi colpi di scena. I Montalbano da bar dello sport possono sbizzarrirsi: dall’omicidio-suicidio (con il corpo del bimbo a Caronia o a Sant’Agata) all’incidente in preda a uno stato di shock, fino alla presenza sul luogo dell’eventuale delitto di una terza persona, conosciuta o sconosciuta a Viviana.
Ma nel cellulare e nel tablet della donna, scandagliati dagli investigatori, non ci sarebbe alcun elemento utile a individuare persone sospette. E dunque assumono un po’ più di peso alcune parole. Quelle, criptiche, scritte da “Express Viviana” sui social: «Ci sono momenti nella vita in cui ci smarriamo, in cui abbiamo bisogno di stare un po’ soli, la solitudine è anche un modo di crescere e meditare, fa funzionare il nostro cervello». Quelle, goffe, pronunciate da Daniele nell’appello per le ricerche («Non ti succede niente, né a te, né al bambino, né a me»), poi ancor più goffamente giustificate in tv: «Mi riferivo al coronavirus, Viviana è stata malissimo, questo è il problema». E, infine, quelle sussurrate dai vicini: «Sembravano normali, ma non erano felici».
Twitter: @MarioBarresi