Nessuna speranza per Petralia Sottana. Le carte parlano chiaro: «Potenzialmente accoglibili» le richieste per i punti nascita di Bronte e di Licata, «a condizione che venga implementato un processo di riorganizzazione e di reclutamento delle partorienti del bacino di utenza». Per tutti gli altri ospedali siciliani – ma in questo caso il riferimento più atteso era quello di Petralia – nulla da fare.
È il verdetto del comitato Percorso nascita chiamato dal ministero della Salute a rispondere alla richiesta di deroghe alla chiusura dei punti nascita con meno di 500 parti l’anno presentata dalla Regione. Bronte Il punto nascita etneo registra 267 parti nel 2014. Primo step di constatazione: «Non tutte le donne residenti a Bronte hanno partorito nel Pn della città e che anche tra le partorienti dei Comuni più vicini c’è la tendenza, come si evince dalle sottostanti tabelle, a partorire in altri Pn», si legge nel report del ministero. Scendendo nel dettaglio: sui 267 parti, 100 sono di residenti a Bronte (il 69% delle mamme locali), mentre 167 arrivano da altri centri. Soprattutto da Maniace (40 partorienti su 51 hanno scelto il punto nascita brontese, ovvero il 78%) e Randazzo (41 su 94, ovvero il 43%), molto meno da Adrano (23 donne sulle 362 che hanno dato alla luce nel 2014). Nessuna partoriente di Centuripe, Troina e Belpasso ha deciso di far N nascere il proprio figlio a Bronte. Nonostante ciò i tecnici del ministero sono convinti che «con efficaci strategie di reclutamento» il punto nascita di Bronte, a regime, può «essere superiore alla soglia di 500 parti/anno».
La prospettiva è «un’unica Unità operativa di Ostetricia e ginecologia, all’interno del Dipartimento Materno infantile» che va inserita «nell’organizzazione del previsto Distretto ospedaliero Paternò-Biancavilla-Bronte». Con una precisa strategia che passa dalla «completa condivisione di atti di indirizzo dipartimentali», ma soprattutto dalla «rotazione monitorata» di tutto il personale tra i due punti nascita, di Biancavilla e di Bronte». Ma la priorità riguarda soprattutto i «requisiti operativi, tecnologici e di sicurezza» del punto nascita. Dove, scrivono gli esperti del ministero, non è garantita «la guardia attiva h24 di ginecologo, anestesista e neonatologo necessari a garantire gli standard» previsti dalla legge. Licata Sono in tutto 422 i nati a Licata. Il Comitato annota che «dalla disamina della distribuzione per residenza delle partorienti, si evince che non tutte le donne residenti a Licata hanno partorito nel Pn della città e che anche tra le partorienti dei Comuni più vicini c’è la tendenza a partorire in altri Pn».
In particolare, il Comitato fotografa le scelte delle partorienti di Licata e dei centri limitrofi. Nel 2014 circa l’85% delle mamme licatesi ha scelto l’ospedale locale (261 su 309), mentre è molto più basso il tasso di “attrazione” dei centri vicini. A Palma di Montechiaro su 221 partorienti il 61,1% ha scelto punti nascita diversi da Licata (appena 86 interventi): 135 su 221 donne altrove. A Riesi 27 su 94 (il 71,3% altrove). Ben più alta la disaffezione a Licata in altri paesi: Mazzarino (92,7%), Campobello di Licata (90,6%) e Ravanusa (84,8%). Questi dati sono alla base di uno scenario ben diverso. Infatti, «qualora venissero messe in atto efficaci strategie di reclutamento delle potenziali partorienti residenti nel bacino di utenza di Licata, il volume di attività del Pn di Licata potrebbe essere di circa 800 parti/anno, largamente al di sopra dei volumi soglia». Cosa manca? Bisogna risolvere «alcuni disallineamenti rispetto a quelli indicati nell’Accordo Stato-Regioni». Soprattutto «per quanto attiene all’organico che non garantisce la guardia attiva h 24».
E qui viene tirata in ballo la Regione: l’assessorato alla Salute deve approvare «in tempi rapidi» l’atto dell’Asp «in modo da procedere alla successiva approvazione della pianta organica e all’espletamento dei concorsi per il reclutamento del personale necessario a completare la pianta organica». E tutto ciò, incalzano dal ministero, va fatto entro 90 giorni. Petralia Sottana Il ministero è chiaro: a Petralia il «basso volume di attività nel 2014» si attesta sui 128 parti e «indica che sono stati effettuati circa 1 parto ogni 3 giorni». E ci sono almeno due ragioni per non concedere la deroga. La prima è che l’indice «appare del tutto inappropriato al fine di mantenere le competenza degli operatori sanitari, in particolare per quanto riguarda eventuali situazioni di emergenza che dovessero presentarsi in tutto il peri-partum (travaglio, parto, post parto) ».
In secondo luogo «l’attento esame dei dati di georeferenziazione sopra riportati, non permettono di evidenziare margini soddisfacenti di reclutamento delle partorienti, tali per cui sia possibile incrementare il volume di parti/anno», anche a causa della «forte denatalità che contraddistingue i comuni limitrofi a Petralia Sottana e che ne costituiscono il potenziale bacino di utenza». Standard insufficienti anche sulla mancata «garanzia della presenza in guardia attiva h24 di ginecologi, pediatri/neonatologi ed ostetriche». Una curiosità finale. Secondo i dati della relazione, nell’ospedale di Petralia Sottana nel 2014 sono stati effettuati 342 interventi interruzioni volontarie di gravidanza. In pratica: c’è il triplo di aborti rispetto ai parti.
«A tal riguardo, l’Assessore per la salute della Regione Siciliana, nella riunione di affiancamento tenutasi presso il Ministero della Salute del 22 ottobre 2015, ha dichiarato – si legge nella relazione – che la spiegazione del numero elevato di interruzioni di gravidanza è da ascrivere alla perifericità di tale struttura che garantisce alle donne una maggiore privacy». Come dire: Petralia chiude perché le mamme non partoriscono, ma è l’ideale per chi vuole abortire in pace.
twitter: @MarioBarresi