Il “cold case” di Acireale: perché Rosario Palermo è colpevole dell’omicidio di Agata Scuto «al di là di ogni ragionevole dubbio»

Di Laura Distefano / 30 Ottobre 2024

Rosario Palermo è colpevole dell’omicidio di Agata Scuto e del conseguente occultamento del cadavere «al di là di ogni ragionevole dubbio». La Corte d’Assise di Catania, in oltre 170 pagine, motiva il verdetto che lo scorso gennaio portò l’imputato a essere condannato all’ergastolo per l’assassinio della giovane donna scomparsa da Acireale, ormai 12 anni fa. Sono passate in rassegna intercettazioni, testimonianze, documenti entrate nel lungo e articolato dibattimento frutto di un’inchiesta dei carabinieri aperta dopo una segnalazione anonima fatta durante una puntata di “Chi l’ha visto?” su Rai 3. I fari mediatici e il fiato sul collo degli investigatori fecero fare dei passi falsi a Palermo, che all’epoca aveva una relazione con la madre di Agata, 22enne con notevoli problemi di disabilità. Il presidente Sebastiano Mignemi (estensore, oggi presidente di sezione alla Corte d’Appello) firma la sentenza in cui è messo nero su bianco, che Palermo già la mattina del 4 giugno 2012 ebbe «comportamenti» che avrebbero avuto il «chiaro intento di celare» la sua responsabilità penale.

Ma prima di passare in rassegna il quadro probatorio sull’omicidio, i giudici d’Assise sottolineano che «l’istruttoria dibattimentale non ha restituito qualsivoglia apprezzabile prova dell’esistenza in vita di Agata». Così come l’ipotesi di un suicidio o di un allontanamento volontario. E la Corte ritiene inverosimile la tesi “della fuitina”: «L’esistenza di un presunto ragazzo con il quale sarebbe fuggita non emerge da alcun elemento».

L’imputato è l’unica persona estranea alla cerchia familiare che il giorno della scomparsa interagì con Agata. La testimonianza della vicina lo localizza a casa della ragazza. E quella sera tornò tardi, con una ferita alla gamba che «si sarebbe procurato con un pezzo di ferro raccogliendo l’origano». Quando si riaprì l’indagine fu pizzicato mentre cercava di nascondere un rondellino di metallo sporco del suo sangue nelle campagne di Randazzo. Un piano, tra i tanti nella sua campagna di depistaggio, per «allontanare da sè i sospetti». A cui vanno ad aggiungersi la creazione di alibi falsi, con la complicità di testimoni. La scomparsa di alcuni documenti medici della vittima. Oppure gli avvistamenti della giovane (tutti smentiti), raccontati per indurre a far pensare che fosse ancora viva.

La Corte poi cita i due soliloqui confessori, in cui egli, «enunciava che la ragazza fosse stata strangolata e bruciata nelle campagne di Pachino». E per certi versi, questa appare la ricostruzione più convergente agli elementi emersi nel processo. Per quanto riguarda il movente, i giudici dell’Assise ritengono che Agata avesse «una relazione clandestina» con Palermo e che questo rapporto avesse portato una gravidanza «scomoda», che avrebbe da una parte «sancito la fine della relazione» con la mamma della vittima, dall’altra «l’insorgenza di un generale sentimento di discredito nei suoi confronti della comunità acese». La Corte, quindi, arriva a una conclusione: «L’uccisione della ragazza e il consegunte occultamento del cadavere possono spiegarsi razionalmente soltanto nella volontà di tenere nascosta la gravidanza e nel desiderio di continuare la relazione sentimentale in atto con la madre di Agata».

La difesa ha impugnato questa sentenza ed è già pendente il processo di secondo grado, che vede come pg Antonio Nicastro. Domani è in programma un’udienza davanti alla Corte d’Assise d’Appello.

Pubblicato da:
Alfredo Zermo