“Iano ‘u carateddu”, il ragazzo di quartiere diventato boss che «si sentiva Totò Riina»

Di Redazione / 01 Dicembre 2019

Sebastiano Lo Giudice, 42 anni, nome in codice (mafioso) “Iano ’u carateddu” – l’ex boss che ci ha inviato la lettera dal carcere di Spoleto con un appello ai giovani – era ai vertici del clan Cappello-Bonaccorsi, quando nel 2010 fu arrestato – lui, appassionato di cavalli fin da bambino – in una stalla di San Cristoforo. Lo Giudice è stato condannato, in alcuni casi con sentenza definitiva, per mafia, droga, armi, rapine e omicidi, tutti reati commessi fra il 2001 e il 2009. Si trova recluso in regime di 41 bis nel carcere di Spoleto.

Nipote, per parte della madre Caterina, dei fratelli Ignazio e Concetto (oggi pentito) Bonaccorsi, i “carateddi”, frangia militare del clan Cappello, Lo Giudice è stato definito «un sanguinario» da alcuni collaboratori di giustizia. Santo La Causa ha detto di lui che «si sentiva Totò Riina», per la strategia stragista usata dal “capo dei capi”. Tanto che voleva sterminare i Santapaola e aveva già il piano, poi saltato, di ammazzare Nuccio Mazzei.

Nella requisitoria del processo Revenge 3, la pm Lina Trovato definì Lo Giudice «l’Isis della mafia». In quel processo emerse anche che la madre fuggì per paura di essere ammazzata. La sua “colpa”? Aver lasciato il marito (Gaetano Lo Giudice, coinvolto nel blitz Revenge 5) per una relazione con un uomo più giovane.

Quando fu arrestato, Lo Giudice – detto anche lo «zingaro» –  stava presiedendo un summit davanti a cinque fedelissimi. Sebbene fosse braccato dalla polizia e gli investigatori avevano fatto progressivamente terra bruciata attorno a lui, Lo giudice si rifiutava di di abbandonare il proprio quartier generale: San Cristoforo. Troppi, probabilmente, gli interessi in ballo e i soldi da dover maneggiare. Soldi provenienti, soprattutto, dal traffico e dallo spaccio di sostanze stupefacenti, che faceva fluire nelle casse del gruppo, ogni sera, migliaia e migliaia di euro. 

L’escalation di Sebastiano Lo Giudice, da ragazzo di quartiere a boss lucido e spietato, è stata lenta ma inesorabile. Favorito dalle parentele illustri, ma anche da una determinazione senza pari, Lo Giudice si sarebbe creato gradualmente i propri spazi e avrebbe costituito un vero e proprio esercito di affiliati, diventando negli ambienti criminali cittadini un uomo da temere e con cui dover parlare in virtù della forza militare espressa dal suo gruppo.

Di lui esistono immagini registrate dalle microspie della polizia in cui balza in auto e si allontana scortato da decine di giovani in scooter, tutti armati e tutti pronti a battersi per quelle conquiste arrivate sotto la guida dell’accoppiata tra Orazio Privitera “pilu russu” (che era stato arrestato a gennaio del 2010) e Lo Giudice. Anche lo «zingaro» non ha mai avuto remore quando si è trattato di premere il grilletto, tant’è vero che è statao condannato anche per diversi omicidi.

Lo Giudice aveva come detto una grande passione per i cavalli (ci sono intercettazioni in cui sembra che Lo Giudice si prepari a sfidare in una corsa clandestina un altro soggetto), ma pure per l’elettronica, lo «zingaro» si sarebbe procurato uno scanner in grado di individuare le microspie installate sui mezzi in uso agli affiliati del suo gruppo. Cercava sempre di stare un passo avanti alle forze dell’ordine che lo braccavano, ma il 2 marzo del 2010 si è dovuto arrendere ai poliziotti 

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