Rivelazioni
I verbali di Pandetta, il neomelodico si “pente”: «Il pezzo su mio zio boss non lo riscriverei». Ma i pm non si fidano
Il cantante catanese interrogato per concorso esterno: «La mafia? Ho sbagliato, era un’operazione di marketing»
Il suo ammiccare alla mafia? «Ho sbagliato», ammette. Più che altro un’«operazione di marketing». Con uno scopo preciso: «Costruire un personaggio che potesse colpire il pubblico, per farmi pubblicità». Del resto, rivela, «oggi non rifarei più la canzone che all’epoca ho scritto per mio zio, perché mi rendo conto di quanto sia stato pesante il testo che ho a lui dedicato».
Non è un pentimento dal punto di vista giuridico, perché di fronte non c’è un affiliato che collabora. E i pm di Catania, che hanno raccolto le parole di Niko Pandetta, continuano a nutrire dubbi sulla sua sincerità. Ma il cantante neomelodico, finito sotto inchiesta per mafia, stavolta è chiaro. A partire dal brano inneggiante al boss Salvatore Cappello, una hit dai versi inequivocabili («Zio Turi, io ti ringrazio ancora per tutto quello che fai per me, sei stato tu la scuola di vita che mi ha insegnato a vivere con onore, per colpa di questi pentiti sei chiuso là dentro al 41 bis»), sui quali il nipote trapper adesso aggiusta il tiro. «All’epoca ero un’altra persona, ero giovane e volevo fare successo, ma non avrei mai creduto – si giustifica – che avrei avuto tutta questa influenza sul pubblico specialmente giovanile».
Vincenzo Pandetta, in arte Niko, 30 anni, è indagato a Catania per concorso esterno in associazione mafiosa. E viene sentito il 19 gennaio 2021 dalla pm della Dda etnea Antonella Barrera, in presenza dell’aggiunto Ignazio Fonzo. Il fascicolo parte dalla bufera per le parole di Pandetta e di un altro neomelodico, Leonardo Zappalà, nel corso di un programma Rai, ma i magistrati sono al lavoro anche su eventuali rapporti con ambienti mafiosi, oltre che sui legami fra Pandetta e lo zio al 41-bis dal 1993.
L’interrogatorio di Pandetta, assistito dall’avvocato Maria Chiaramonte, parte proprio dal contenuto della puntata di Realiti. «Rispetto al mese di giugno 2019 io sono cambiato, sono cresciuto e oggi – precisa il “Leone di Cibali” – ho molti più follower di prima». E aggiunge: «Mi rendo conto che ho assunto atteggiamenti biasimevoli in quella occasione, ma il mio scopo era quello di costruire un personaggio che potesse colpire il pubblico per farmi pubblicità». Dunque, come se fosse un Fedez marca liotru, il trapper neomelodico ammette: «Era una chiara operazione di marketing, anche se mi rendo conto oggi di avere sbagliato».
E si dissocia anche dal “collega” («un ragazzo di Paternò, tale Zappalà») che aveva infangato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dicendo che «sanno le conseguenze» quando fanno «queste scelte di vita». Per Pandetta «dichiarazioni sgradevoli», che «io non ho condiviso e che comunque non mi appartengono», a lui «attribuite senza che io ne avessi colpa». Quasi come se avesse ascoltato il consiglio “antimafia” del boss palermitano di Borgo Vecchio, Jari Ingarao, emerso in un’intercettazione: «Fatti un tatuaggio, ti scrivi Falcone e Borsellino, e risolvi i problemi», diceva al neomelodico. Che, nell’interrogatorio, si lamenta del fatto che, a causa delle polemiche «non ho potuto esibirmi su tutto il territorio nazionale». L’ultimo stop, a settembre, per un evento a Ostia.
Oltre alle esternazioni in tv (fra cui l’ammissione di aver finanziato il suo primo cd con i soldi di una rapina), a Pandetta vengono contestati altri episodi. Tra cui le minacce al consigliere regionale campano Francesco Emilio Borrelli, mostrando una pistola durante una diretta Facebook. «Aveva reso dichiarazioni pesanti contro la mia famiglia, ed io mi sono arrabbiato», si difende, «e ho reagito in quel modo, sentendomi colpito nei miei sentimenti». I particolari: la pistola «però non era vera e funzionante, in quanto si trattava di una bomboniera!». Un gadget, dunque: «Me l’hanno regalata a un evento, una cresima a Brindisi, e la signora che me l’ha regalata mi ha chiesto di promuoverla per farle pubblicità».
Un altro caso che Pandetta deve spiegare è il concerto “con dedica” a Catania, nel settembre 2019. «Io devo fare un salutone a Marco Strano (pregiudicato, ultimo arresto per droga, ndr) a sua moglie, a tutta la famiglia Strano, e a suo fratello Alessandro Strano (ergastolano da 20 anni, ndr). Un grande bacione», scandì in largo Alberto Favara, nell’esibizione – non autorizzata dalle forze dell’ordine – sotto il quartier generale degli uomini forti dei Cappello a Monte Po. Strano «l’ho conosciuto in carcere e so benissimo a quale famiglia appartiene», riferisce Pandetta, che chiude l’esibizione così: «Dedicata alla famiglia Strano. Marco questa è per tua figlia, ciao mon ami». Ai magistrati catanesi il trapper chiarisce che non ha voluto «esprimere alcun omaggio nei confronti della famiglia Strano come gruppo mafioso, in quanto facevo riferimento, invece, al ristretto nucleo familiare di Marco». E la dedica?
«Sono stato contattato per partecipare a questo evento – ricostruisce l’indagato – e ho saputo che la figlia di Strano aveva un problema serio di salute, quindi io nei miei saluti mi riferivo proprio alla bambina». I legali di Strano, dopo le polemiche sull’episodio, avevano definito il saluto «un’iniziativa autonoma» di Pandetta, «forse in cerca di un facile e comodo riscontro mediatico, che pare essere riuscito ad ottenere». Il marketing sulla mafia, appunto.
Fra le ipotesi investigative c’è anche l’uso del ruolo di influencer per fare arrivare messaggi a personaggi del mondo criminale. Il neomelodico, infatti, deve chiarire anche il significato di un altro video diffuso su TikTok, nell’agosto 2020. in cui addita come «sbirro» qualcuno. Il sospetto degli investigatori è che si riferisca a Gaetano Nobile, imprenditore amante del lusso, nipote di due esponenti di spicco del clan Cappello (Sebastiano Nuccio e Aurelio Balbo) e cognato del collaboratore di giustizia Salvatore Chisari. Nobile «lo conosco bene per ragioni di comunanza di quartiere e siamo pure lontanamente imparentati, ma escludo categoricamente che mi stessi riferendo a lui», mette a verbale Pandetta.
Affermando che su TikTok stava attaccando un suo «precedente fonico, con cui avevo avuto pesanti contrasti», e che l’espressione «sbirro» fosse indirizzata a un anonimo automobilista che aveva osato segnalare alla polizia stradale l’auto del neomelodico, con a bordo anche la fidanzata, mentre sfrecciava ad altissima velocità in Basilicata, nei pressi di Lagonegro. I dubbi restano. I magistrati catanesi ritengono Nobile – già sentito più volte, ora sotto processo – una figura-chiave dell’inchiesta sul duplice omicidio di viale Grimaldi (a Librino, nell’agosto 2020, apice dello scontro fra il clan Cappello e i Cursoti milanesi), in cui è coinvolto anche un parente di Pandetta. Che, parlando sempre di Nobile («lo conosco bene, siamo parenti alla lontana», ripete) ammette: «Per voci diffuse a Catania ho appreso che ha reso dichiarazioni contro mio cugino Salvuccio Lombardo, ma ormai questi fatti non mi interessano in quanto sono estraneo a questi contesti».
Pandetta, dunque, prende le distanze. Ma alle spalle ha una serie di guai con la giustizia. L’ultimo arresto risale al 2017, quando non si fermò a un posto di blocco a San Cristoforo: nello scooter, rigorosamente senza assicurazione, in cui era assieme a un noto spacciatore del quartiere Cappuccini, i carabinieri trovarono una mitraglietta giocattolo senza il tappo rosso di riconoscimento. Ma nella fedina penale del trapper c’è soprattutto una condanna in appello a quattro anni con ammenda di 17mila euro per spaccio di droga nel blitz “Double Track” a carico di un gruppo contiguo al clan Cappello-Bonaccorsi. Pandetta, inoltre, è a processo (coimputato Filippo Zuccaro, figlio del boss Maurizio, in arte Andrea Zeta) per la diffamazione dei giornalisti di MeridioNews, «pezzi di merda» per aver realizzato un reportage sui neomelodici.
E adesso quest’indagine per concorso esterno alla mafia. Il trapper si difende dicendosi «totalmente concentrato sulla mia carriera artistica, che mi dà tante soddisfazioni». Un successo che ha (avuto?) anche una “musa” speciale: proprio Turi Cappello. Quando, sul finire dei 40 minuti di interrogatorio, i pm gli chiedono del rapporto con lo zio al 41-bis, Pandetta rivela: «Mi invia delle poesie da lui scritte», che, precisa, «vengono sottoposte al visto di controllo». E il destinatario che ne fa? «Le ho tutte conservate e per farlo felice talvolta le ho tradotte in testi di canzoni». Come dire: di fronte alla famiglia, non c’è marketing che tenga. Twitter: @MarioBarresi COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA