I dialoghi dei boss su di Matteo e la mancata nomina al Dap: è bufera sul ministro Bonafede

Di Elvira Terranova / 04 Maggio 2020

PALERMO – «Zio Carmè, questi ci vogliono di nuovo chiudere come i topi. Qui c’è scritto che vogliono fare a Di Matteo capo delle carceri, chisti su pazz, amma fà ammuina». E’ il 2 giugno del 2018, quando Ferdinando Autore, boss camorrista recluso al 41 bis all’Aquila si sfoga, durante l’ora di socialità, con un altro “pezzo grosso”, Carmelo Dominante, boss della Stidda di Gela. Autore, dopo avere ritagliato parte di un quotidiano nazionale, dall’interno della camera di assegnazione, mostra il ritaglio a Dominante e si sfoga contro Antonino Di Matteo, che in quel momento è membro della Direzione nazionale antimafia. E’ secco il no dei boss mafiosi al carcere duro contro Di Matteo. Che in quel momento è il magistrato più scortato d’Italia, che aveva rappresentato l’accusa nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia, che si era concluso appena due mesi prima con la condanna di quasi tutti gli imputati, dai boss mafiosi Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella a imputati “eccellent” come il generale Mario Mori e il colonnello Giuseppe De Donno.

Sono soltanto alcune delle frasi che, in quel periodo, il Gom, il Gruppo operativo mobile delle carceri, trascrive per mandarle alla Direzione e che poi verranno inviate alla Direzione nazionale antimafia. Di Matteo, che dallo scorso autunno, è consigliere del Consiglio superiore della magistratura, ieri sera, durante la trasmissione “Non è l’Arena”, parlando della proposta che in quel periodo gli venne fatta dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede di accettare l’incarico di capo del Dap«”oppure di Direttore degli affari penali», ha citato alcune delle frasi che erano state captate dal Gom di boss mafiosi che non accettavano di buon grado il suo nome a capo delle carceri.

Ma cosa dissero in quel periodo i boss? In un’altra informativa, sempre di quei giorni, come apprende l’Adnkronos, il Gom nel carcere di massima sicurezza dell’Aquila, riferisce quanto detto dal boss Carmelo Lupo, fedelissimo dei capimafia di Brancaccio Giuseppe e Filippo Graviano a un sottufficiale del Gom: «Appuntà, ha visto che come capo del Dipartimento pensano a Di Matteo? Che vogliono fare? Stringerci ancora di più? Già siamo stretti, più di così non lo possono fare…». E poi, ancora, il boss Sandro Lo Piccolo, di Palermo. Tutti contro l’ex pm della trattativa a capo del Dap. 

E gli uomini del Gruppo Operativo Mobile della polizia penitenziaria dopo avere ascoltato quegli “sfoghi” li hanno riportati nelle loro relazioni. Parola per parola. Proprio in quei giorni ci fu l’incontro tra Di Matteo e il Guardasigilli: «Bonafede mi chiese se ero disponibile ad accettare il ruolo di capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – ha spiegato Di Matteo a Giletti in una telefonata arrivata a sorpresa durante il dibattito sulle scarcerazioni dei boss- o, in alternativa, quello di direttore generale degli affari penali. Chiesi 48 ore di tempo di tempo per dare una risposta», ma «quando ritornai, avendo deciso di accettare la nomina a capo del Dap, il ministro mi disse che ci aveva ripensato e nel frattempo avevano pensato di nominare Basentini». E aggiunge: «Forse qualcuno lo aveva indotto a ripensarci…». Poi spiega: «Alcune informazioni che il Gom della polizia penitenziaria aveva trasmesso alla procura nazionale antimafia ma anche alla direzione del Dap, quindi penso fossero conosciute dal ministro, avevano descritto la reazione di importantissimi capimafia, legati anche a Giuseppe Graviano e ad altri stragisti all’indiscrezione che io potessi essere nominato a capo del Dap».

Ma il diretto interessato smentisce e telefona alla trasmissione per dire di essere «esterrefatto nell’apprendere che viene data un’informazione che può essere grave per i cittadini, nella misura in cui si lascia trapelare un fatto sbagliato». «Cioè che la mia scelta di proporre a Di Matteo il ruolo importante all’interno del ministero sia stata una scelta rispetto alla quale sarei andato indietro perché avevo saputo di intercettazioni».

E precisa: «Gli ho parlato della possibilità di fargli ricoprire uno dei due ruoli di cui ha parlato lui, gli dissi che tra i due ruoli per me era più importante quello di direttore degli affari penali, più di frontiera nella lotta alla mafia ed era stato il ruolo ricoperto da Giovani Falcone». Per questo, sostiene Bonafede, si era mosso per offrire il Dap a Basentini: «A me era sembrato, ma evidentemente sbagliavo, che fossimo d’accordo ma il giorno dopo mi disse di non volere accettare gli affari penali voleva il Dap, ma io nel frattempo avevo già fatto». 


Un altro fatto grave che accadde proprio nei giorni “caldi” del giugno 2018 fu la richiesta di un gruppo di detenuti, 57 in tutto, tutti al 41 bis, cioè al carcere duro, di incontrare il Presidente del Tribunale di sorveglianza. Un fatto alquanto inedito. Volevano lamentare proprio l’eventuale nomina di Di Matteo al Dap? Non si sa, perché il Gom, come si apprende, non partecipò all’incontro che si tenne tra il magistrato e una “delegazione” di detenuti.

Intanto, nel frattempo, la nomina è saltata. E al posto di Di Matteo venne chiamato a dirigere il Dap Basentini. Che domenica si è dimesso. Poche ore dopo la nomina del suo successore, Dino Petralia.

Oggi Bonafede è nella bufera per questo caso. In tanti, Da Fratelli d’Italia alla Lega, chiedono le sue dimissioni. Anche Renzi vuole vederci chiaro. Il diretto interessato ieri ha telefonato in diretta durante la trasmissione “Non è l’arena”, dicendosi «esterrefatto», perché la circostanza che lui avrebbe cambiato decisione dopo aver saputo dell’intercettazione (“che peraltro era già stata pubblicata”) «non sta né in cielo né in terra». Bonafede ha aggiunto che l’incarico di capo degli Affari Penali che Di Matteo ha poi rifiutato, «non era un ruolo minore , ma più di frontiera nella lotta alla mafia. Lo stesso incarico che ricoprì Giovanni Falcone». 

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