Facciamo, per assurdo, visto che stiamo dentro un’immensa recita tragicomica da oltre mezzo secolo, che il Ponte ci sia. C’è, bello, spettacolare, sospeso lì sul mare, ad unire due coste, due terre, tante economie, a partire da quella generata dal turismo, di cui, come è noto sino alla noia, quaggiù potremmo camparci.
Dunque il Ponte c’è, e un turista, una famiglia in vacanza, un pullman carico di gente in ferie che viene giù dall’Italia o da qualche luogo dell’Europa, arriva tutto sommato comodamente e persino rapidamente. Del resto sciolto il nodo della Salerno-Reggio Calabria che fu altro nodo epocale, l’asse che dall’Europa si spinge sino al profondo sud è un lungo percorso autostradale. Poi, poi si arriva qui, Sicilia. E sono dolori. Nonostante ‘sta gran bellezza di ponte che ci lasciamo alle spalle.
Per vivere di turismo, ovvio, bisogna attirare i turisti non solo con la materia prima fornita da madre natura, anche perché quella c’è, abbondante, arricchita da lasciti monumentali ed eredità architettoniche spesso uniche al mondo. Non solo, dunque, vendere la Sicilia, ma renderla fruibile, accessibile, raggiungibile, visitabile. Percorribile.
Siamo qui, a Messina, cento metri dopo l’ultimo pilone del Ponte che non c’è. Visitare cosa? Ma cominciando da Taormina, dal teatro, dal mare, per poi scendere, lungo una linea simbolica e coerente, verso il Distretto del Sud Est. Dunque in un salto da Messina a Taormina, un tratto di autostrada che è da sempre penosa, su cui si lavora lentamente, forse stancamente, da sempre per rifare manti stradali, gallerie, rimuovere frane, ridare dignità a quella che dovrebbe essere la nostra autostrada del sole e dei gioielli. Con le uscite per la Perla dello Jonio in cui non è possibile, si scopre subito, utilizzare il Telepass perché non esiste una corsia che agevoli l’uscita (in estate e tanto più nei weekend) di migliaia di autoveicoli.
Questo è il biglietto da visita. Che poi Taormina resti un incanto è tutta un’altra storia. Ma la prossima tappa? Taormina-Ragusa. Bene. In tutto 158 chilometri, ma per percorrerli serviranno tra 2 ore e 2 ore e 15 minuti. Un tempo infinito, in un percorso ad ostacoli estremamente pericoloso, una vera e propria trappola. Eppure da 30 anni si aspetta che la vecchia statale Catania-Ragusa 514 venga sostituita da una superstrada. Da 20 anni ci sono persino i soldi, ma la prima pietra, il primo cantiere, il primo metro della Ragusa-Catania restano nel libro dei sogni.
La famiglia in vacanza, vista Ibla, esplorato il Distretto del Sud Est, fatto il bagno a Portopalo, scoperta la bellezza di Noto che ha pochi eguali al mondo per luce, colori, architettura, arte, la famiglia punta su Agrigento. Dunque su Google map mettiamo Ragusa-Agrigento. 135 chilometri, meno di Taormina-Ragusa, ma il navigatore avverte che ci vorranno oltre 2 ore e 10 minuti. Quanto tempo perduto per strada. Sì, ma, dice qualcuno, ci saranno pure viaggiatori che amano i tempi lenti, quelli, che so, di Goethe che arrivò in Sicilia il 2 aprile del 1787 e per le sue quindici tappe programmate del Grand tour se la prese certamente comoda, viaggiando in carrozza.
Ora, diciamo, viaggiatori ce ne sono per fortuna sempre di più, ma quando si parte per fare le vacanze, si paga profumatamente, si ha il tempo contingentato, ‘sto gran piacere di ammirare i paesaggi andando a 50 all’ora dietro un Tir non sempre c’è.
Se lasciamo per un attimo al suo viaggio da Ragusa ad Agrigento la famiglia in auto, possiamo intercettare all’aeroporto di Fontanarossa un gruppo di vacanzieri che hanno scelto per queste vacanze (stiamo facendo finta di non essere ancora alle prese con il coronavirus, s’intende), uno dei villaggi vacanze che si trovano tra Pozzallo, Ispica e dintorni. Cosa hanno da invidiare alle più celebrate località delle Maldive, o della Grecia, o della Spagna? Nulla, semmai potrebbero far invidia per il mare, per la sabbia, per il contesto paesaggistico. Ma, c’è un ma. C’è che in ogni villaggio si prenota una settimana, poniamo da sabato a sabato. Bene, qui si atterra a Catania provenienti da Bergamo, Milano, Verona, Venezia, Bologna per esempio. Se va bene arrivi a metà mattinata, poi scarico bagagli dall’aereo, carico bagagli su pullman, trasferimento Catania-Pozzallo. In pullman il tempo di percorrenza è diverso dall’auto naturalmente, ci vogliono circa 2 ore e mezzo. E ti deve andare bene, niente traffico sulla vecchia 514. Quando arrivi al villaggio e gli animatori ti offrono un latte di mandorla, in pratica ti sei giocato mezza giornata di vacanza e l’altra mezza te la giocherai il sabato successivo quando all’alba dovrai essere quasi pronto al trasferimento a Fontanarossa.
Capito perché la nuova Ragusa-Catania sarebbe di straordinaria importanza? E questo vale per i transfer dagli aeroporti siciliani alle località turistiche. Far perdere un giorno a chi ha pagato è un delitto, imperdonabile. Eppure siamo ancora qua. E visto che ci siamo, diamo un’occhiata un po’ più in fondo, alla Catania-Siracusa-Gela. Si ferma a Rosolini, ancora. Il presidente della Regione, Musumeci, e l’assessore ai Trasporti, Falcone, hanno fatto un sopralluogo anche al tempo del Covid, garantendo che a settembre saranno pronti un altro po’ di chilometri. Una fatica immensa anche qui, con lotti assegnati, avviati, fermati dalla crisi delle aziende, fornitori e subappalti da pagare, mesi di fermo totale. Ora ripartiti, per quanto l’epidemia abbia imposto uno stop sino al 4 maggio.
L’Isola che vorrebbe vivere di turismo è questa, cioè quella in cui l’autostrada che collega due capitali, Catania e Palermo, è semplicemente una vergogna allo stato puro, con decine di cantieri che vanno avanti a rilento. Forse l’Anas dirà che procedono rispettando il timing, quello dell’azienda. La verità è che lo scandalo di questi 192 chilometri è la vergogna che va avanti da sempre. Una strada che ha avuto una storia tormentata, che sarebbe dovuta essere il collegamento veloce tra i due assi portanti dell’Isola. Questo è il simbolo dell’abbandono cui il sistema dei trasporti siciliano è stato condannato. Con strade, ferrovie, aerei, ponti. Già, ponti, come quello là, senza il quale… Lasciamo stare.