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Gli ex pentiti tornati boss, la Procura: «Pene severe per chi ricomincia a delinquere»

Di Redazione |

MESSINA – I 5 ex pentiti di mafia arrestati al’alba di oggi dalla Squadra mobile di Messina, guidata dal vicequestore aggiunto Antonio Sfameni, secondo gli inquirenti non avrebbero mai interrotto «i contatti con i clan di Cosa Nostra» dello Stretto. Sono 14 le persone finite in manette nel blitz scattato all’alba, tra cui, appunto, i cinque ex collaboratori di giustizia: Nicola Galletta, Gaetano Barbera, Salvatore Bonaffini, Pasquale Pietropaolo e Antonino Stracuzzi, quest’ultimo risponde solo di detenzione e porto di armi. Galletta, Pietropaolo e Bonaffini dopo avere ultimato il percorso di collaborazione con la giustizia, erano tornati a Messina.

L’obiettvo degli ex collaboratori era quello di riprendere «il controllo del territorio». L’inchiesta è nata nel luglio dell’anno scorso quando i poliziotti della Squadra mobile hanno iniziato a indagare sugli ex pentiti che avevano relazioni con esponenti dei clan mafiosi di Messina.

«Tra gli arrestati di oggi ci sono componenti di spicco della criminalità messinese che avevano ruoli importanti a cavallo degli anni ’80 e dell’inizio anni ’90, e che dopo una collaborazione con lo Stato avevano ripreso a delinquere riprendendo i contatti con il territorio», ha spiegato il procuratore Maurizio De Lucia in conferenza stampa nella Questura di Messina dopo l’operazione “Predominio”.

«Grazie alle indagini siamo riusciti a comprendere l’intenzione di queste persone a riorganizzarsi ai vertici delle organizzazioni criminali – ha detto il procuratore – Ricordo che per chi dopo un periodo di collaborazione con lo Stato torna a delinquere ci sono pene gravi tra cui la revisione dei processi dove ha ottenuto dei benefici. Bisogna tuttavia riflettere su alcuni aspetti di natura legislativa che riguardano il ruolo di collaboratore di giustizia. Gli arrestati non avevano trovato grandi problemi a ritornare ai vertici nell’organizzazione o ad allearsi con altre persone per gestire varie attività sul territorio».

Per il questore Vito Calvino «lo spaccato che emerge da questa indagine è quello della modalità di imposizione di controllo del territorio con azioni “tradizionali” per la criminalità come l’estorsione, lo spaccio di droga e possesso di armi e siamo intervenuti subito per evitare delitti più gravi». 

L’inchiesta della Polizia di Stato nasce dagli attentati subiti dai familiari di due delle persone finite in carcere oggi insieme agli ex collaboratori di giustizia, i fratelli Arrigo, avvenuti il 29 aprile 2016 e il 25 gennaio 2017.

Indagando sugli agguati sono emersi i rapporti tra i tre ex pentiti Nicola Galletta, Pasquale Pietropaolo e Salvatore Bonaffini. Tutti e tre, ultimato il percorso di collaborazione con la giustizia, erano tornati a Messina. Dalle indagini è emerso subito il ruolo di spicco di Galletta che insieme a Barbera aveva creato una cellula criminale mafiosa di cui facevano parte anche Vincenzo Barbera, fratello di Gaetano, Pietropaolo, Bonaffini e un altro pregiudicato, Cosimo Maceli.

Il clan si riuniva in un ristorante del centro della città dove si pianificava la riconquista del potere anche attraverso la gestione delle estorsioni e il traffico degli stupefacenti.

Il gruppo criminale poteva contare sulla disponibilità di diverse armi. Una delle estorsioni scoperte riguarda il titolare di un’associazione sportiva e culturale messinese, costretto a versare parte della propria liquidazione e minacciato perché lasciasse la carica. Ma il core business dell’organizzazione criminale era rappresentato dal traffico delle sostanze stupefacenti. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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