«Gianlucone» & C. la Sicilietta del clan narrata dalle carte

Di Mario Barresi / 23 Aprile 2016

Sarebbe davvero un’ingiustizia, se lui passasse alla storia soltanto per quel dolcissimo «non mi puoi trattare come una sguattera del Guatemala». Glielo disse Federica Guidi, ex ministro e (fors’anche ex) fidanzata di questo siciliano che, in poche ore, è scivolato dallo status di «uomo che considero a tutti gli effetti mio marito» a «padre di mio figlio».

Soltanto misogino? Troppo poco è. Perché Gianluca Gemelli, «più rilassato» dopo le quasi tre ore di interrogatorio di ieri davanti ai pm di Potenza, non è soltanto il Sordi-Cretinetti de Il vedovo, brusco downgrade cazzulliano di Bel Ami e persino di Ricucci. Un po’ arrampicatore e un po’ maschilista, certo. «Io non sono cretina… perché tutte le volte… le camicie, le cattiverie, tutto per te è un diritto, ottenere quello che tu pensi sia possibile», gli rinfaccia la sua donna. Che sente di valere «meno di zero come tutte», perché – gli dice – «non fai altro che chiedermi favori, con me ti comporti come un sultano».

E lui, faccia di quartierino, non fa una grinza. Sprezzante con l’antimafia, con «quelli che utilizzano i cognomi dei martiri per fare carriera», tipo Lucia Borsellino, ché poi «questa è gente che andrebbe eliminata». Col beneficio del dubbio su Crocetta. Perché, quando si discute di fondi europei per la sicurezza da spendere nelle Regioni, il clan dice che Rosario andrebbe portato «nel mondo delle persone normali». Cioè loro. Il che, col senno di poi, diventerà un complimento.

Non sappiamo come gli finirà. Dal punto di vista giudiziario-sentimentale. Ma a Mr. Guidi dobbiamo comunque dei ringraziamenti. E non soltanto perché con le sue ormai celeberrime telefonate ha portato i magistrati lucani a scoprire – a loro insaputa, quasi per caso – trame e personaggi che in Sicilia erano tabù. Il grazie più sentito, a Gemelli, si deve rivolgere per il contributo alla storiografia contemporanea. Perché i brogliacci delle telefonate sue e della «combriccola» ci raccontano l’Italietta di oggi. Con un ampio capitolo dedicato alla Sicilietta. Quella dei «marinaretti di Augusta» da trasferire, quella delle lobby e degli affari su terreni, serbatoi e chissà cos’altro.

Ma quelle carte sono cartine di tornasole di un’Isola – un’isoletta – anche tralasciando il codice penale; persino mettendo (molto) fra parentesi l’etica. No, qui non è Romanzo Criminale. Un fotoromanzetto, semmai. È la Sicilia del #ciaone. Che fa rima con concessione, conversazione, pressione, commissione, situazione, questione, corruzione. Tutte parole che zampillano dalle carte. Ma è vera musica con «Gianlucone» (Gemelli, nella versione catto-lobbistica di Colicchi; diversa dal «Gianluchino» confindustrial-vezzeggiativo di Ivan Lo Bello), con «l’Ammiraglione» (Giuseppe De Giorgi, capo di Stato Maggiore della Marina), con «Nicolone» (Colicchi), con «Albertone» (Cozzo), con «Alfredone» (Leto), con «Valerione» (Pastena) e con «Fabrizione» (Vinaccia). Sembra quasi una presa di distanza quel «Finocchietto» utilizzato – anche in conversazioni con Antonello Montante – come nome in codice la senatrice Anna Finocchiaro. Ricorre spesso «abbraccione»: tipico commiato utilizzato in sms e telefonate, in alternativa al più banale «bacione». Un neologismo interessante è «fantasticone»: il giudizio di Gemelli sull’incontro di Pastena con due generali dei carabinieri, che l’avrebbero rassicurato sul fatto che l’imprenditore augustano «non è attenzionato» (su «attenzionato» stendiamo linguisticamente un velo pietoso per rispetto dell’Arma).

Poi c’è «cazzone»: è il deputato regionale Giambattista Coltraro, nella definizione – dalla quale ci dissociamo con veemenza – di un sms che Gemelli invia al commissario dell’Autorità portuale, Cozzo, nell’ambito della campagna di sensibilizzazione di politici volta alla sua riconferma; tant’è che gli consiglia pure «Tu incontra tutti!!! Fai la puttana!!! ». «Coglione» è pronunciato in decine di telefonate. Ma ci soffermiamo sulla variante complimentosa «mica coglione»: aggettivo, di invidiosa approvazione, attribuito al commissario Cozzo che va a mangiare a Brucoli, «ricci e rutto libero», in attesa della proroga. Ma, in nome della rima baciata, si rilevano anche: «vista Cupolone» (la location della cena al circolo ufficiali della Marina, altrimenti detta «una figata», in compagnia di politici ed esponenti dei servizi segreti); «figurone» (l’impatto positivo di Cozzo, dopo la visita del ministro Delrio, secondo il report di Lo Bello “tradotto” con parole di Gemelli). Ci fermiamo qui.

Giusto per citare qualche esempio. Tante cose che finiscono per «one». Eppure nelle 279 pagine dell’informativa di Potenza sul filone siciliano non compare neanche una volta «ciaone». Magari sarà nei dialoghi non ritenuti utili, ma noi facciamo come se ci fosse. Un «ciaone» sociologico, persino antropologico. Proprio la parola che manca. A questa banda. Spocchiosa, millantatrice quanto basta, persino mattacchiona. Talvolta. Un po’ yuppie Anni 80, e ci sta pure. Da Augusta alla settimana bianca, ma col business sempre in testa. «Minchia, ma… non vedo l’ora che si riprenda, cominciamo a pedalare, perché io dopo in ferie comincio a sballare (…) poi qua a Cortina è solo relax, che va benissimo, carichi, però dopo un po’ devi andare a lavorare, c’è poco da fare… », confida Gianluca all’amico Colicchi. Rampanti, apolitici («I politici sono tutti buffoni», cinguetta Gemelli prima di rassicurare via Twitter la figlia di Ornella Muti sulla sua forma fisica), epicurei. Ma qui Jay McInerney e il suo Le mille luci di New York c’entrano ben poco. Prevale la “tendenza Jerry Calà”.

Come quando Gemelli, che gli inquirenti definiscono «molto più fiducioso della nomina (di Cozzo), che secondo lui sarebbe avvenuta l’indomani», prefigura i festeggiamenti all’amico: «Domani, cazzo, potrebbero esserci delle bottiglie di champagne da infilare nel culo della gente, che sarebbe una cosa molto gradita… Vengo anch’io in Autorità, ti aiuto con la vasellina, va bene? ». Signori si nasce. E lui non lo naque. Seppur in una famiglia borghese e rigorosa (papà Paolo ufficiale di Marina, mamma Mirella casalinga), comincia a correre, correre, correre… Non proprio come Forrest Gump, del resto il suo nome in codice – per gli amici del quartierino – è “Gazzella”.

Sulla «strada gemellica», efficacissima definizione di un dirigente Total, usata come sinonimo di «scorciatoia». Gianluca sposa Valentina, figlia del potente Giuliano Felice Riccardi – spezzino trapiantato in Sicilia – e gestisce le aziende di famiglia fino all’incontro con un’altra figlia di papà: Federica, rampolla di Guidalberto Guidi. Ma ai valori della famiglia, nonostante le apparenze, Gemelli ci tiene. Come quando, il 19 maggio 2015, i carabinieri di Siracusa osano fermare e multare suo padre, ritirandogli persino la patente perché guidava senza assicurazione. L’allarme. Ed è una catena di solidarietà, per il “quartierino”.

Culminata con la tronfia telefonata di Pastena: «Allora, Gianlù, m’ha chiamato il comandante provinciale di Catania, ha detto, già chiamato quel collega: Paolo Gemelli sarà trattato nel miglior modo possibile… che noi non facciamo stronzate! ». Ecco, appunto.

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