CATANIA – Un altro boss della mafia siciliana che si trovava in carcere in regime di alta sorveglianza finisce agli arresti domiciliari per le sue condizioni di salute che in cella lo metterebbero a rischio coronavirus e continua la polemica per i tanti criminali che stanno uscendo dai penitenziari.
Per decisione del tribunale di sorveglianza di Potenza, è stato scarcerato dalla casa circondariale di Melfi ed è andato agli arresti domiciliari Pietro Pollichino, esponente del mandamento di Corleone (Palermo), condannato a una pena definitiva di sei anni e otto mesi dall’autorità giudiziaria di Palermo per associazione a delinquere di stampa mafioso. L’uomo, di 78 anni, deve scontare ancora oltre un anno di reclusione, con fine pena a luglio del 2021. E’ risultato appartenente a Cosa Nostra nell’area di Corleone e Contessa Entellina tenendo rapporti con il reggente del mandamento di Corleone Rosario Lo Bue.
L’istanza di scarcerazione è stata presentata a dicembre per ragioni di salute dal legale Giuseppe Colucci, di Melfi, ed è stata accolta per l’emergenza coronavirus in quanto un rischio di contagio è incompatibile con la detenzione carceraria. Pollichino non era detenuto al 41 bis ma in alta sorveglianza per il 416 bis. Due relazioni mediche hanno attestato l’incompatibilità con la detenzione in carcere per patologie pregresse di tipo cardiaco.
«Ho presentato l’istanza di scarcerazione a dicembre scorso – ha detto dal canto suo l’avvocato Giuseppe Colucci – e c’erano tutti i motivi per la concessione dei domiciliari. I magistrati non hanno regalato nulla al mio assistito Pietro Pollichino, è stata solo applicata la legge, richiamando la Costituzione. Il Covid-19 non c’entra nulla. Ho altri clienti che sono a rischio nelle carceri di Bologna e Tolmezzo, che hanno fatto le stesse istanze e, nonostante presentino sintomi da coronavirus, stanno elemosinando un tampone che non viene eseguito. I magistrati che hanno preso la decisione su Pollichino sono molto esperti».
Il detenuto non si è ravveduto né ha collaborato con la giustizia, pertanto il tribunale ha ritenuto «indubbio lo spessore criminale» e pertanto non può essere rimesso in libertà; ma, per lo stato di salute, l’attuale situazione epidemiologica «rende difficoltoso fare ricorso ai trattamenti sanitari presso i presidi territoriali esterni». Così il Tribunale ha rigettato la richiesta di differimento della pena ed ha invece concesso la detenzione domiciliare di nove mesi, con permesso di due ore al mattino per esigenze di salute e divieto di usare i telefoni cellulari.
Tre giorni fa sul tema della scarcerazioni il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha annunciato che «d’accordo con il presidente della Commissione Antimafia, Nicola Morra», è pronto a «intervenire», con proposte che verranno inserite nel prossimo decreto legge». Tra le novità a cui si sta lavorando, il Guardasigilli ritiene che meriti «maggior approfondimento quella di coinvolgere la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo nelle decisioni relative ad istanze di scarcerazione di condannati per reati di mafia».
L’intervento di Bonafede è arrivato il giorno dopo le polemiche per la scarcerazione di Pasquale Zagaria, detto “Bin Laden” e per le decisioni contrastanti sulla questione dei domiciliari ai detenuti, compresi quelli al 41 bis, il carcere duro.
«La lotta alle mafie – ha detto Bonafede – è una cosa seria. Parlarne in maniera superficiale, gettare un tema così importante nella caciara quotidiana, mentire ai cittadini dicendo che c’è una legge (o addirittura una circolare) di questo governo che impone ai giudici di scarcerare i mafiosi, è gravissimo».
«Le decisioni sulle scarcerazioni per motivi di salute – ha ricordato il ministro – vengono adottate in piena autonomia e indipendenza dalla magistratura. Lo sanno tutti… o forse no, a giudicare da qualche video in rete. Ad ogni modo, ho avviato tutti gli accertamenti interni ed esterni, anche presso l’ispettorato, sulle varie scarcerazioni. Ma questo non basta. D’accordo col Presidente della Commissione Antimafia, Nicola Morra, siamo pronti a intervenire a livello normativo. Alcune delle proposte verranno inserite nel prossimo decreto legge», ha aggiunto Bonafede.
Ma intanto i boss continuano a lasciare le carceri e coi tempi della giustizia italiana chissà quando e se vi ritorneranno. Per questo da più parti, associazioni antimafia, associazioni delle vittime, partiti dell’opposizione, si chiede un intervento deciso e rapido sulla questione. Il giornalista e presentatore Massimo Giletti nella sua trasmissione “Non è l’arena”, dalla quale ha condotto diverse battaglia contro la criminalità organizzata, ha detto di vergognarsi di essere italiano.
Sul tema scarcerazioni, alla luce dei casi Bonura, Iannazzo, Sansone e per ultimo Zagaria, era intervenuto anche il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci: «Esistono ragioni di sicurezza, di ordine pubblico e di buon senso per dire no al rientro di alcuni detenuti pericolosi nei luoghi dove vivevano e dove hanno commesso gravi reati. Ecco perché certe decisioni lasciano sbigottiti. E l’incredulità che provano alcuni magistrati, da sempre in prima linea, è la stessa che sta provando la gente comune. Se proprio si rende necessario assegnare agli arresti domiciliari personaggi mafiosi di spessore, allo scopo di decongestionare le carceri in questo periodo di epidemia, si prendano assolutamente in considerazione soluzioni diverse».
Anche come segnale ai cittadini e a tutti quelli che giustamente stanno protestando contro le scarcerazioni, il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, oggi ha richiesto al Csm la destinazione del magistrato Roberto Tartaglia al ruolo di vicecapo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, finito nella bufera dopo i casi degli ultimi giorni.
Roberto Tartaglia, 38 anni, nato a Napoli, attualmente consulente della commissione Antimafia, è stato per dieci anni sostituto procuratore della Repubblica a Palermo, dove ha anche fatto parte della Direzione distrettuale antimafia. Ha seguito indagini e processi legati agli assetti mafiosi più attuali occupandosi di alcuni dei mandamenti più importanti del capoluogo siciliano. Nella sua carriera, in particolare, è stato delegato alla gestione di numerosi detenuti sottoposti al regime del 41 bis, fra questi: Salvatore Riina, Leoluca Bagarella, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano; Antonio, Giuseppe e Salvatore Madonia; e Salvatore Lo Piccolo.
Al Dap arriverà nel ruolo di vicecapo. Rimane dunque al suo posto il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Francesco Basentini, finito nel mirino dopo le polemiche per le rivolte scoppiate nei penitenziari e per la questione dei boss scarcerati. Via Arenula sceglie però di affiancargli un nome di peso, con un curriculum antimafia che vuole essere un’assicurazione sulla rotta da imprimere all’amministrazione. Tutto ciò, in attesa del provvedimento cui sta lavorando il ministro Bonafede che punta a contenere le scarcerazioni disposte dai magistrati di sorveglianza per motivi di salute con un maggior coinvolgimento nelle decisioni della Direzione nazionale antimafia e delle Direzione distrettuali.