«Fra Lombardo e la mafia nessun rapporto concreto e specifico»: le motivazioni dell’assoluzione nell’Appello bis

Di Mario Barresi - Laura Distefano / 09 Ottobre 2022

 Le «condotte tenute» da Raffaele Lombardo, «pur non essendo esenti nell’ampio periodo in contestazione da discutibili legami e rapporti non occasionali con esponenti delle famiglie mafiose di Cosa nostra», sono sì «certamente interpretabili in chiave di vicinanza e di generica disponibilità secondo una causale di tipo elettorale-clientelare», eppure «non appaiono sufficientemente definibili, sul piano probatorio, quali contributi di favore destinati al consolidamento dell’organizzazione mafiosa». Ecco la “password” giuridica dell’assoluzione dell’ex governatore dal reato di concorso esterno alla mafia. La chiave è tutta nella penultima delle 134 pagine con le motivazioni della sentenza della prima sezione penale della Corte d’Appello di Catania (presidente Rosa Anna Castagnola; consiglieri Daniela Urbani e Michele Consiglio). Per i giudici, in sostanza, le condotte «non sono espressione di concreto e specifico rapporto sinallagmatico fra Lombardo e Cosa nostra». E quindi «non sono configurabili gli elementi costitutivi del concorso esterno in associazione mafiosa».

Il pilastro fondante della conclusione dei giudici è la sentenza Mannino del 2005 che fornisce le linee guida per riconoscere il «concorrente esterno» che deve fornire «un concreto, specifico, consapevole e volontario» che rafforzi l’associazione mafiosa o quanto meno un «particolare settore, ramo di attività o articolazione territoriale».

 

 

La Corte si è mossa sulle direttrici delle quattro aree tematiche (un «mosaico» per la Procura generale) che vengono fuori dalla sentenza di primo grado.  La parte più corposa è quella che riguarda i parchi commerciali (Tenutella e Porte di Catania) e gli appalti con lo sfondo dello scontro intestino a Cosa nostra etnea che vede contrapposti Alfio Mirabile, appoggiato dal padrino di Caltagirone Ciccio La Rocca e dal boss Nino Santapaola (tutti e tre ormai deceduti) e Mario Ercolano, sostenuto dai figli di Nitto Santapaola e dal reggente del villaggio – poi ucciso – Raimondo Maugeri. Diversi pentiti hanno parlato di un presunto summit tra i vertici mafiosi e Lombardo nel giugno 2003 nella sua casa di campagna. Un fatto per la Corte «assolutamente privo di riscontro probatorio in atti».

I giudici dell’Appello bis vanno oltre: «Non vi sono elementi probatori per poter affermare che l’imputato, benché politico influente, abbia avuto un qualche ruolo nella vicenda del parco commerciale “Tenutella”, oltre che nella risoluzione del conflitto tra le famiglie di cosa nostra concernente la spartizione degli appalti».

Le conclusioni sono chiare: «In definitiva resta del tutto indimostrato in atti il fatto che vi è stata una condotta dell’imputato articolatasi nell’arco di svariati anni e complessivamente volta all’adempimento di impegni assunti con il boss di Cosa nostra Enzo Aiello (e con la cosca mafiosa)» frutto «di un accordo politico-mafioso».
La Corte d’Appello dando per certe alcune pressioni scrive ancora: «Premesso che si volesse ritenere provata una ingerenza del Lombardo in attività di alcuni comuni del territorio catanese tale circostanza di per sé non è sufficiente e utile per dimostrare il concorso esterno». I giudici fanno rientrare tutto nel quadro dell’«attività politica»

La Corte evidenzia nelle motivazioni i consolidati rapporti con gli imprenditori (alcuni in odor di mafia come Mariano Incarbone) ma queste non bastano – ancora – a diventare prova di un contributo attivo alla mafia. Sui centri commerciali «si può ragionevolmente affermare» scrive la Corte un «costante interessamento del Lombardo alle vicende imprenditoriale di Mario Ciancio per favorirne la realizzazione o risolverne le problematiche» ma questo per i giudici d’appello «non comprova certo il concorso esterno nell’associazione mafiosa così come contestato».

L’assunto della Corte è chiaro: «Le prove acquisite non consentono di rinvenire elementi probatori univoci nelle vicende dei cosiddetti centri commerciali (Tenutella, Playa, Porte di Catania), né in quella relativa alla (mancata) realizzazione del parcheggio Raffaello Sanzio, vicende in relazione alle quali il ruolo attivo svolto dall’imputato non è stato completamente provato o è limitato ad un interesse generico, venendo quindi a mancare addirittura la prova certa dell’esistenza del patto». 
Sui rapporti con Cosa nostra, la Corte evidenzia: «Certamente vi è prova in atti che il Lombardo ebbe rapporti personali di conoscenza e frequentazione con più persone organiche all’associazione mafiosa, figurando tra esse anche esponenti di spicco come Francesco La Rocca, anziano capomafia di Caltagirone (deceduto ndr), con il quale secondo le convergenti dichiarazioni di più collaboratori di giustizia, Lombardo intratteneva relazioni risalenti nel tempo». 

Quindi ci sono le prove dei contatti «tra Lombardo e il contesto di criminalità organizzata ma non sono sufficienti per comprovare il concorso esterno». Le pagine delle motivazioni assolvono Lombardo dal punto di vista penale (anche dal reato di corruzione elettorale) ma ci sono passaggi che potrebbero portare forti ripercussioni sul piano etico e politico. La Corte infatti non nega che il leader autonomista possa aver bussato alla porta dei boss per avere i loro voti. «È bene premettere innanzitutto che il fatto che nella stessa o in diverse competizioni elettorali Raffaele Lombardo possa essersi rivolto (anche tramite il fratello) ad affiliati mafiosi per ottenerne l’appoggio elettorale comprova, al più, una consuetudine comportamentale censurabile sul piano etico, ma non contente di inferire, nemmeno in modo indiziario, la prova di sussistenza di uno specifico e ben delineato fatto corruttivo».
 

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Pubblicato da:
Alfredo Zermo
Tag: lombardo mafia mario barresi motivazioni sentenza lombardo processo lombardo raffaele lombardo