Fra adepti e “riciclati”, ecco la schiera dei Montante-boys ancora al potere

Di Mario Barresi / 03 Novembre 2018

CATANIA – Superstiti. Fra pentiti e riciclati. Ma soprattutto adepti e combattenti. Antonello Montante, col rito abbreviato nel processo di Caltanissetta, resterà in carcere almeno per altri nove mesi. Eppure, già dal giorno del suo arresto, il 14 maggio scorso, niente è più come prima.

O forse no.

Perché, se molti amici dell’ex presidente di Confindustria Sicilia (alcuni dei quali indagati, altri imputati) sono usciti di scena, non sono pochi i montantiani doc rimasti in sella.

Il brodo primordiale in cui il presente si mischia col passato è naturalmente quello dell’associazione degli industriali. All’interno della quale Montante, ha ricordato il presidente Francesco Boccia, è «di fatto è sospeso da ogni incarico che aveva». La sospensione «di fatto» (ma che significa?), più la mancata costituzione di Viale dell’Astronomia al processo, ipotesi mai stata neppure in discussione, è il binomio che dimostra la linea: «Non siamo giustizialisti e non giustifichiamo», le ultime parole di Boccia sul caso. Al posto dell’imputato nisseno, a capo di RetImprese, Confindustria ha ora un vice vicario, Fabrizio Landi. Ma al vertice amministrativo resta il direttore Carlo La Rotonda, fra i 13 destinatari di richiesta di rinvio a giudizio nel rito ordinario. L’iper-garantismo confindustriale ha fatto sì che anche Diego De Simone, per l’accusa uomo-chiave della rete di spionaggio-dossieraggio di Montante, sia soltanto sospeso da capo della security. Più comprensibile, fino a prova contraria, è che Linda Vancheri (ex assessore regionale, fra gli indagati in un altro fascicolo su Montante) resti dirigente di Confindustria nazionale.

Sicindustria era andata avanti già prima dell’arresto. Scegliendo, a marzo 2017, il successore dell’ex leader allora già indagato per concorso estero alla mafia: Giuseppe Catanzaro, re delle discariche e delfino di Montante. Tanto da essere citato decine di volte nelle carte del processo sugli spioni, ma soprattutto indagato nel secondo filone nisseno su corruzione e finanziamento illecito ai partiti. Catanzaro, subito dopo aver ricevuto l’avviso di garanzia, s’è autosospeso da presidente. Anche altri indagati non rivestono cariche associative: Rosario Amarù (già presidente di Sicindustria Centro Sicilia) e Carmelo Turco (già delegato ai rapporti con le industrie petrolchimiche). Nella sezione “governance” del sito istituzionale, dove ancora campeggia la foto di Montante come “past president”, Catanzaro è sparito. Ma nel board restano altri uomini legatissimi all’ex capo. A partire da Alessandro Albanese, vicario di Catanzaro e presidente a Palermo, che all’edizione siciliana di Repubblica ha detto: «Nessuno rinnega Antonello. Ma la nostra presenza nel governo regionale ha creato più danni che altro, abbiamo imparato la lezione». Parte quindi «un percorso nuovo che ci vede lontani e autonomi dalla politica». Un cammino che, nel consiglio generale, vede come battistrada altri Montante-boys: da Gregory Bongiorno (fra i vice regionali, presidente a Trapani) a Giorgio Cappello, “diversamente montantiano” presidente della Piccola industria e ad di Soaco a Comiso, passando da Ivo Blandina, vice vicario di Sicindustria Messina, più volte citato nelle carte dell’inchiesta, ma non indagato. Montante, lo volle commissario a Siracusa, ruolo da cui si dimise per un processo per truffa dal quale uscì assolto. Fra i Giovani c’è stato il passaggio di consegne fra Silvio Ontario (più volte citato in intercettazioni, anche imbarazzanti, ma non indagato) e Gero La Rocca, startupper agrigentino nel settore dei rifiuti, stimato dall’autosospeso Catanzaro.


Anche sotto il Vulcano ci sono residui di cenere del montantismo. Pur non essendo mai stato uno storico fedelissimo, il nuovo presidente etneo Antonello Biriaco, nel suo primo discorso dopo l’elezione, ha deposto le armi nella guerra autonomista contro Sicindustria, ribaltando una decisione del 2016 e lanciando il ritorno alla casa madre, dove ancora Montante è tutt’altro che uno spettro del passato.

E Ivan Lo Bello? Il “gemello diverso” di Montante, protagonista della stagione antimafia, s’è defilato dopo aver concluso il mandato a capo di Unioncamere. Nell’informativa della Mobile e nell’ordinanza del gip di Caltanissetta, Lo Bello è immanente ma etereo. C’è quasi ovunque, in quelle carte (anche perché le indagini riguardano un periodo in cui c’era un forte legame con Montante), ma senza lasciare alcuna traccia, tant’è che l’ex vicepresidente nazionale non è sfiorato dall’inchiesta. Lo Bello, già il giorno dopo l’arresto, prese pubblicamente le distanze da Montante. Sebbene, invitato dall’Antimafia dell’Ars, abbia marcato visita.

L’altro storico feudo dell’ex paladino antimafia è quello camerale. L’imputato, dal carcere s’era «autosospeso» da presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta e – dopo non pochi imbarazzi – l’ente è stato commissariato dalla Regione. Il segretario generale nisseno è Guido Barcellona (figlio di Giuseppe, ex procuratore generale di Caltanissetta), più volte richiamato, ma non coinvolto, nell’indagine. Montante, dopo l’arresto, non s’era dimesso neanche da leader di Unioncamere Sicilia, che però ha una nuova governance. Il presidente è il trapanese Pino Pace. Che pur non appartenendo al cerchio magico del suo predecessore, votò – il 19 aprile 2016 – l’unanime proroga alla presidenza di Montante, allora indagato. La candidatura di Pace è stata proposta da Albanese (di cui sopra), che è ora il vice assieme al vicario Blandina (di cui sopra), proposto dal neo-presidente.

Confindustria e Camere di Commercio. Ma anche Regione. Fra i fedelissimi di Montante ancora in sella c’è Maria Grazia Brandara, ex commissario dell’Irsap, indagata nella seconda tranche nissena. C’è Brandara, insieme con l’ex assessore Mariella Lo Bello, intercettata in auto, quando l’imputato pronuncia il suo celebre «con le Attività produttive si può fare la terza guerra mondiale». Nonostante le dimissioni dall’Irsap e da commissario a Licata, Brandara un suo “rifugio antiatomico” l’ha mantenuto. Presidente dell’Ias, società partecipata mista che gestisce l’enorme business della depurazione della zona industriale di Siracusa. Ed è in buona compagnia: nel Cda di Ias siede anche Salvatore Pasqualetto. Nisseno, storico leader della Uil, amico di Montante e più volte citato (non indagato) nel fascicolo. Pasqualetto è presidente del famigerato “Tavolo unico di regia per lo sviluppo della legalità”, creatura camerale dell’ex leader in carcere. Nel Cda, autentica enclave post-montantiana, anche Seby Bongiovanni. Vice di Sicindustria Siracusa, secondo la ricostruzione di polizia e pm, attestata dal gip, fu Montante a volerlo lì.

Fin qui i nomi più risaputi. Ma “Mamma Regione” ha continuato a ospitare, ai piani alti dei propri Palazzi, molti altri personaggi in auge – pur senza alcun coinvolgimento penale – nell’era dorata di Montante. Nel Nisseno i più maliziosi non potevano non notare l’incarico di prestigio (consigliere d’amministrazione della Crias, fino all’arrivo del nuovo commissario ad acta appena nominato) rivestito da Tarcisio Sberna, imprenditore di San Caltaldo, ex presidente provinciale di Confartigianato. Voluto da Montante a capo del Tavolo delle organizzazioni di categoria del Centro Sicilia, sul sito della CamCom nissena risulta ancora presidente del Distretto turistico delle miniere. Ma non c’era soltanto stima professionale: amico vero dell’ex leader di Sicindustria, Sberna era spesso in sua compagnia nei weekend nisseni. A Serradifalco ricordano ancora le pedalate dei due in tandem. E dall’informativa (Sberna non è indagato) emerge anche una fotografia in cui Montante, “seguito” con discrezione dalla Mobile, esce dalla sua villa in bici con un compagno di passeggiata. Sberna, appunto.

Alla Crias, per inciso competenza delle Attività produttive della Regione, c’è anche, come componente del collegio dei revisori, un’altra fedelissima: Alida Marchese. Non indagata, ricorre negli atti dell’inchiesta anche in un episodio del 2015 in cui Montante la avvicina prima di una sua testimonianza, provando a istruirla sulle risposte da dare ai pm. Ex dipendente di Confindustria Caltanissetta, commercialista, Marchese ha ricoperto più incarichi di sottogoverno. L’ultimo, mentre scorrevano i titoli di coda dell’era crocettiana, glielo conferisce l’assessore Lo Bello alla Crias. E nessuno l’ha mai più toccata.

Un altro montantiano low profile, oggi più che mai in auge, è Massimo Dell’Utri. avvocato nisseno con l’hobby della politica sin dagli anni 90 (ultima vicinanza tracciabile quella all’ex ministro Saverio Romano), che il governo regionale ha nominato amministratore di Sicilia Digitale. A Caltanissetta non è un segreto per nessuno il rapporto di amicizia del presidente regionale dell’Unione degli Ordini forensi con Montante e con il co-imputato Massimo Romano, re dei supermercati. Ma Dell’Utri, da sempre molto stimato dall’ex icona della legalità, è anche nipote di Francesco Panepinto (principe del foro nisseno), prestigioso oggetto di una raccomandazione di Montante all’allora prefetto di Caltanissetta, Carmine Valente, per la nomina a Grande ufficiale della Repubblica. Panepinto, storico amico dell’imputato eccellente e zio di Dell’Utri, ma anche di Giuseppe. Che è uno degli avvocati di Montante.

Twitter: @MarioBarresi

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