«Firmette», caffè e affari: vent’anni di munizzitudine

Di Redazione / 17 Aprile 2020

Vent’anni di munizzitudine. Nella relazione dell’Antimafia regionale si ricostruisce il permanente, ed immanente, stato di emergenza dei rifiuti. Vent’anni di ordinanze e deroghe, piani annunciati e riforme abortite, super poteri e mega affari. Il tutto scandito, ma giammai scalfito, da scandali politici e inchieste giudiziarie. Epperò stavolta c’è una chiave di lettura, una tesi documentata – non un teorema – che per primo il presidente Claudio Fava butta nella metà campo di una politica siciliana in tutt’altre faccende affaccendata: c’è chi ci ha guadagnato, in quest’enorme groviglio «di interferenze e di sollecitazioni che ricordano – per modalità e per il ricorrere talvolta degli stessi protagonisti – le vicende legate al cosiddetto sistema Montante». Voti, potere, carriere e altre “utilità” per chi, dentro i palazzi della Regione, ha la funzione di «vassallaggio», comprese «giunte di governo spesso distratte o condizionate da presenze istituzionali esterne alla Regione». Soldi, una montagna di soldi, per i «pochi proprietari delle poche piattaforme private», che in regime di oligopolio hanno avuto (e continuano ad avere) «altissimi margini di profitto», in un contesto di «inevitabili refluenze sul piano dei rapporti tra il sistema politico e una parte del sistema industriale siciliano».

Si parte dai termovalorizzatori, bestie mitologiche con il corpo di rifiuti inceneriti e la testa di businessmen in gessato. Quante probabilità c’erano che, se non si fosse fatta quella «gara meramente apparente, in cui tutto era già deciso a tavolino» di cui parlano i pm di Palermo, nelle quattro offerte presentate «i 390 comuni siciliani risultano geometricamente distribuiti nelle quattro proposte vincenti»? Risponde l’ex assessore ai Rifiuti, Pier Carmelo Russo, con sorprendente perizia nei numeri fattoriali: «Una su 949.173.615. Tanto per dare un’idea, le possibilità di vincere il superenalotto sono una su 622 milioni». Ma l’idea degli inceneritori fu incenerita, prima che se ne occupasse la magistratura con un’inchiesta (archiviata) che lascia ben più di cinquanta sfumature di grigio. Sul rapporto fra termovalorizzatori e mafia, si apre – in separate audizioni – uno scontro fra “titani”. Due specialisti, per l’esperienza politica prima ancora che per i guai giudiziari in materia, come Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo. Le tesi sono diametralmente opposte. Sostiene il primo: «Gli ambienti mafiosi erano molto preoccupati che si facessero i termovalorizzatori perché smettevano di lucrare sulle discariche». Per il successore aver bloccato è servito «a far saltare il più grande affare della mafia, infiltrata in un sistema che le avrebbe consentito un affare da 5-7 miliardi di euro e una rendita annua di centinaia di milioni per i prossimi 20-30 anni. Abbiamo avuto la forza per bloccare questa porcheria». La verità, magari, sta a metà strada. Proprio come gli affaristi, con un piede nelle discariche e l’altro nei termovalizzatori. Conferma Sergio Demontis, procuratore aggiunto della Dda di Palermo: «La coincidenza di operatori economici che in epoca successiva al tramontare del progetto della costruzione degli inceneritori hanno gestito discariche private è negli atti…».

E così si consolida il regno degli immondezzai. Alimentato da riti semplici e collaudati. Come quello della «firmetta». Il copyright è di Sergio Gelardi, ex dirigente del dipartimento Ambiente. «o facevo passare quello che vedevo firmato da Zuccarello… Gestiva, anche, l’Aia, per me era una cosa banale, io verificavo che lui avesse firmato il provvedimento e io apponevo la mia firmetta». Siamo nel cuore dell'”affaire Cannova”, che prende il nome da Gianfranco Cannova, funzionario regionale coinvolto in più inchieste fra mazzette e odor di mafia.

E poi i caffè. Momento conviviale per incontrarsi e fare nuove conoscenze. «Ci prendiamo un caffè, ti voglio presentare una persona», disse il deputato regionale Luca Sammartino all’ex assessore Vania Contrafatto, che svela l’episodio alla commissione. E così, a Catania, il magistrato prestato alla politica conosce uno dei Paratore, titolare della Cisma di Melilli poi finita in un’inchiesta per traffico di rifiuti. «Mi disse che aveva una discarica per rifiuti speciali e la metteva a disposizione della Regione, visto che eravamo in emergenza, la metteva a disposizione anche per i rifiuti urbani». Con annessa richiesta di aiutino – in presenza di Sammartino, «che però non aprì bocca, era lì, stava seduto e basta» – ovvero Paratore «auspicava, visto che lui era così gentile nell’offrirci questa sua cosa, che poi la Regione fosse altrettanto gentile nell’esitare questa pratica nei tempi più brevi possibili». La risposta di Contrafatto fu un «no, grazie» inequivocabile. Quella della Regione, scoprirà poco dopo l’interessata, fu diversa: in un’ordinanza (emergenziale, ça va sans dire) dell’ex governatore Rosario Crocetta la Cisma viene autorizzata a smaltire rifiuti solidi urbani.

Lo stesso Paratore, habitué della tazzina, che l’ex senatore Beppe Lumia presenta all’ex dirigente generale dei Rifiuti, Marco Lupo. A Roma, ai tavolini del Sant’Eustachio. Oggetto: la Via per l’ampliamento della discarica. Risposta: non si può fare. «La cosa che mi allarmò è che, dopo questi passaggi, arrivarono dei periti nominati dalla Procura di Siracusa (…) andarono dal mio dirigente Patella e gli fecero capire che io ero indagato perché non volevo rilasciare le autorizzazioni…». Per Lupo, oltre che per le carte giudiziarie sul “sistema Amara”, «la vicenda della Cisma è sintomatica di quello che avveniva nella Procura di Siracusa…». Ma il finale è lo stesso: l’autorizzazione all’ampliamento arrivò.

Lumia ha la malasorte di essere citato più volte nella relazione. Ovviamente nell’audizione dell’ex assessore Nicolò Marino: «Io conobbi Giuseppe Catanzaro perché me lo presentò Lumia, all’inizio del mio incarico, voleva rendermi esperto facendomi incontrare Catanzaro». Il senatore della porta accanto, deus ex machina del governo Crocetta, e il delfino confindustriale di Antonello Montante. Fra i due, in mezzo, il magistrato-assessore che tocca fili pericolosi. Con una commissione d’inchiesta che scandaglia le carte sulla Catanzaro Costruzioni, ma anche su Oikos, Tirreno Ambiente e Sicula Trasporti. Il quadrilatero dei signori delle discariche. «Le relazioni redatte dalla commissione facevano emergere la completa illiceità delle discariche», ricorda Nunzio Sapuppo, comandante del Noe dei carabinieri di Palermo. Ma il lavoro di Marino, annota laconicamente Fava, «resterà lettera morta».

Il metodo, più che il sistema, dei paladini dell’antimafia ricorre in quelle che Fava definisce «asperità in cui ci siamo imbattuti più volte». Ovvero «l’uso eccessivo e distorto», dice, dello scioglimento dei Comuni per mafia. Lo schema è identico: un impianto osteggiato dal sindaco, una tenaglia politico-mediatica, lo scioglimento amministrativo prima di arrivare al proscioglimento penale. Così a Scicli (per l’impianto Acif), così come nelle «strane connessioni» di Siculiana e Racalmuto.

I politici fanno politica, gli affaristi fanno affari. E la gestione dei rifiuti in Sicilia? Può essere sintetizzata dal racconto della “prima volta” in assessorato del magistrato Contrafatto. Che chiese al suo direttore generale Domenico Armenio di spiegargli «secondo quale criterio tu decidi che tot va in questa discarica, tot va in quell’altra discarica?». Il dirigente «prende un foglio A4 sul mio tavolo e con la penna inizia a dire “cinquecento vanno qua, quattrocento vanno qua, mille vanno qua”. Io gli dissi: “Scusi, ma stiamo parlando di patate? Non l’abbiamo un piano?”». Conclusione rassegnata a Fava: «Non c’era niente, presidente, assolutamente niente». E se fosse ancora così?

Twitter: @MarioBarresi

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