PALERMO – Un bambino nato il giorno dell’ultimo voto per l’elezione degli organi di gestione delle ex Province, oggi Liberi consorzi («Hanno scelto un termine di un secolo fa», tuona con fastidio il governatore Nello Musumeci) oggi va in quinta elementare. Dalla consultazione del 2008, infatti, sono trascorsi 10 anni e tre mesi. Le “contee” di Sicilia, che negli anni tra il 1994 e il 2008 (questo il regno dell’elezione diretta) furono governate, tra gli altri. da Bruno Marziano a Siracusa, Ciccio Musotto a Palermo, Mimmo Turano a Trapani e Nello Musumeci, Raffaele Lombardo e Giuseppe Castiglione a Catania, hanno conosciuto nell’ultimo lustro solo commissari straordinari. Di altro lustro ne hanno visto veramente poco.
Gli ultimi commissari sono stati nominati dalla Regione a luglio dopo il “no” della Consulta all’elezione diretta dei vertici dei Liberi consorzi. Il 27 giugno del 2017 era stato Giovanni Di Giacinto, con un emendamento approvato all’Ars in commissione Affari istituzionali, a dare il via al tentativo, poi concluso in aula con un blitz trasversale estivo, di riportare in vita l’elezione diretta dei sindaci metropolitani, dopo che sulla scelta di farli coincidere con quelli delle città capoluogo si era consumato più di uno scontro parlamentare e qualche ricorso al Tar.
Una stagione di riforma – quella delle ex Province – fallita non solo in Sicilia, a giudicare dai numeri della crisi economica e finanziaria degli enti intermedi, forse anche perché nata sull’onda lunga delle leggi chieste dalla “pancia” del Paese in una logica di tagli ai costi della politica e conclusa con il “massacro” del concorso alla finanza pubblica che alla fine ha contribuito a portare le ex Province sull’orlo del fallimento. Si è scelto di sopprimere un ente prima di aver chiaro cosa avrebbe dovuto prendere il suo posto.
L’elezione indiretta di secondo grado dovrebbe – e il condizionale è d’obbligo – essere celebrato entro dicembre di quest’anno. In almeno altre tre occasioni, tra un’impugnativa, un commissariamento e un cambio di norma, si è arrivati negli ultimi due anni, a un passo dal voto per poi ritornare indietro sulla strada impervia dell’ignavia a cui, senza particolari colpe, i commissari si sono visti condannare. Per molti di loro l’unica soluzione possibile è stata condurre in porto un’inerzia amministrativa dignitosa.
Se, come pare, si tornerà comunque al voto, la rete degli accordi sui territori non potrà non tenere conto del fatto che con il nuovo sistema elettorale (voto ponderato) i sindaci delle città capoluogo e dei centri più grossi partiranno da grandi favoriti ai nastri di partenza. Il “peso” del voto di ciascun elettore (sindaci e consiglieri dei Comuni) è determinato in relazione alla popolazione complessiva della fascia demografica del centro in cui si ricopre la carica di amministratore locale. L’indice di ponderazione altro non sarà alla fine che la consistenza elettorale che un sindaco o un amministratore potrà andare quindi a esprimere.
Un caso paradigmatico del quadro che potrebbe verificarsi nelle sei province in cui si andrà a votare è quello dell’ombra dei templi. Ad esempio, riscuote un importante consenso di base il sindaco di Agrigento Lillo Firetto. Dalla sua potrebbe giocare un ruolo anche l’anima “laica” e spendibile di una figura che, deputato centrista all’Ars nell’ultima legislatura, oggi gode la libertà del ruolo di battitore libero.
Tuttavia, personalità di riferimento a parte nelle singole aree, l’elezione indiretta delle ex Province, potrebbe essere invece un’occasione per rimettere in campo forze politiche come Pd e Forza Italia, forti di una discreta pattuglia di rappresentanze locali, motivate a uscire dallo stallo (talvolta anche dall’isolamento) che la congiuntura politica dell’ultimo anno ha riservato, specialmente ai dem.
La ragnatela costruita dai vecchi partiti dunque, o da quelli comunque testati anche alle recenti amministrative di giugno, potrebbe ricoprire un ruolo di primo piano. Il prezzo più alto rischierebbero di pagarlo le liste civiche e i movimenti autonomi, grillini primi tra tutti, condannati all’isolamento in assenza di una disponibilità di fondo a trattare con gli altri partiti.
Un dato questo che, se ribaltato, potrebbe ulteriormente accorciare l’originaria distanza del Movimento 5 stelle, oggi forza di governo nazionale, dal sistema al cui interno oggi agisce.
La trama della “nuova-vecchia” politica passerebbe anche dagli autonomisti siciliani (anche a loro non dispiacerebbe Firetto), e potrebbe, secondo quanto comincia ad affiorare, essere affiancata da una ipotesi, da non tralasciare, di una rimodulazione degli assetti di giunta della città agrigentina.
Quali sponde potrebbero trovare invece i leghisti di Sicilia poco forniti in questo momento di sindaci e amministratori? Poche e comunque da integrare con la “sindrome dei soliti noti” che il commissario regionale Stefano Candiani, atteso domani a Palermo per la campagna di tesseramento, sembra tenere in grande considerazione. I movimenti sul territorio come quello del governatore siciliano, Diventerà Bellissima, potrebbero essere un’utile cerniera invece per quanto riguarda la fase di collegamento tra l’anima forzista del centrodestra che ha recentemente “sgridato” Matteo Salvini per bocca del suo leader in Sicilia Gianfranco Miccichè e l’altro pezzo (FdI).
All’opera sui territori anche i centristi. Tra questi in buona evidenza viene segnalato l’ex ministro dell’Agricoltura Saverio Romano. Sulle macerie del mondo centrista, crollato nel voto di marzo delle Politiche, c’è un intero universo nei territori siciliani che non accetta di essere residuale rispetto alla cultura politica a trazione leghista.
In ultima analisi dunque il voto indiretto delle prossime Provinciali potrebbe rappresentare un test utile di medio termine prima della volata finale di primavera che vedrà in campo i big in cerca di conferma per le elezioni europee, previste a maggio. Sempre che il quadro nazionale non subisca accelerazioni che portino al voto anticipato anche a Roma. Uno scenario troppo fluido ed instabile rischierebbe però di lasciare nel solito stallo degli ultimi anni le esigenze di riforma degli enti di area vasta.