E’ Francesco Tancredi Maria Napoli, 48 anni, il presunto responsabile provinciale della "famiglia" Santapaola-Ercolano arrestato dai carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Catania nell’ambito dell’operazione "Sangue blu" della Dda etnea. Carica che, secondo l’accusa, ricoprirebbe dal 2019, dopo essere tornato in libertà finito di scontare 13 anni di carcere.
Ad indicarlo nel ruolo apicale di Cosa nostra etnea diversi collaboratori di giustizia, mentre altri lo avevano definito "uomo d’onore riservato". Napoli è il nipote di Salvatore Ferrerra, detto «Cavadduzzu» ("Puledro") che aveva sposato una delle sorelle D’Emanuele, zie dello storico capomafia Benedetto Santapaola.
Napoli ora è stato arrestato nuovamente con altre 34 persone. Per 26 degli indagati il Gip ha disposto la misura cautelare in carcere e per altri nove i domiciliari. Gli arresti sono stati eseguiti nelle provincie di Catania, Prato, L’Aquila, Enna, Perugia, Vibo Valentia, Palermo, Benevento, Siracusa e Avellino.
Il provvedimento ipotizza, a vario titolo, i reati di associazione mafiosa e concorso esterno, estorsione, traffico di sostanze stupefacenti, detenzione illegale di armi e munizioni e concorso in trasferimento fraudolento di valori, aggravati dal metodo mafioso.
Nell’operazione sono stati impegnati 250 carabinieri del comando provinciale etneo. Secondo l’accusa, la cosca gestiva estorsioni e un vasto traffico di sostanze stupefacenti. L’inchiesta avrebbe fatto luce su sei episodi di "taglieggiamenti" a imprenditori dei settori dei servizi per la logistica, delle attività turistico-ricreative e del commercio all’ingrosso e al dettaglio. In un caso la richiesta estorsiva è stata preceduta da una bottiglia incendiaria posta all’esterno di un noto stabilimento balneare della Plaia, accompagnata da un pizzino con la scritta «200 mila euro o ti cerchi l’amico 2 giorni di tempo». Una è stata invece interrotta in flagranza dai carabinieri che hanno arrestato un esattore poco dopo avere prelevato più di 1.000 euro da un imprenditore catanese, il quale, dopo un’iniziale reticenza, ha riferito di essere stato vittima di pressanti richieste già da diverso tempo.
Il "pizzo" era utilizzato dal clan anche per il mantenimento delle famiglie degli affiliati detenuti. I carabinieri hanno eseguito anche il sequestro preventivo di beni stimati in quattro milioni di euro comprese la società «Citymotor s.r.l.», salone multimarca di automobili a San Gregorio di Catania che secondo l’accusa sarebbe stata intestata a un prestanome per eludere le norme antimafia, e la «Vinissimo s.r.l.», enoteca di Catania, che sono state affidate ad un amministratore giudiziario. Sequestrati anche conti correnti e beni aziendali registrati, sia mobili che immobili.
Napoli, hanno ricostruito le indagini dei carabinieri, nella gestione delle attività illecite del clan per evitare di essere intercettato utilizzava una rete telefonica riservata, con utenze intestate ad ignari cittadini extracomunitari, cambiate di frequente. Gli "affari" della cosca erano trattati sempre di presenza, con incontri fissati senza alcun riferimento specifico al luogo, ma indicati attraverso «nomi in codice», durante i quali era vietato avere cellulari.
Nella "famiglia", sostiene, la Dda, avrebbero avuto un ruolo di rilievo anche Cristian Buffardeci e Domenico Colombo, entrambi di 46 anni. Il primo sarebbe stato il «braccio destro» di Napoli, evitandogli un’esposizione diretta nella gestione degli affari illeciti, in particolare nei contatti con pregiudicati e, a volte, prendendo parte a delicati incontri esponenti di vertice di altre organizzazioni criminali. Colombo è accusato invece dalla Procura di avere avuto stretti legami con personaggi di vertice dell’associazione, come Vincenzo Sapia, 56 anni, e Francesco Santapaola, 41, e avrebbe avuto anche un ruolo nella gestione delle estorsioni e del recupero crediti, raccogliendo, in particolare, le somme destinate alla famiglia di Francesco Santapaola.
L'attività investigativa avrebbe inoltre documentato i «reati fine», strumentali al sostentamento dell’associazione mafiosa, come appunto le estorsioni ai danni di imprenditori catanesi, un fiorente traffico di cocaina e marijuana, gestito direttamente da Gabriele Santapaola e dai fratelli Giuseppe e Antonino (figli di Salvatore detto «Turi Colluccio"), il recupero crediti attraverso prestiti ad usura e l’acquisizione, diretta o indiretta, della gestione e del controllo di attività economiche.
Per quanto riguarda le estorsioni, alcune sono risalenti addirittura agli Anni '90 e mai denunciate dalle vittime. «Le dichiarazioni degli imprenditori taglieggiati – ha detto il comandante provinciale dell’Arma di Catania, colonnello Rino Coppola – sono arrivate successivamente, quando sono stati chiamati dalla Polizia giudiziaria per essere sentiti. Per cui, dopo un iniziale reticenza, hanno ammesso le cose che erano state già documentate dall’attività di indagine».
Il col. Coppola ha spiegato che «l'indagine è stata denominata "Sangue blu" perché dimostra ancora una volta che l'avvicendamento ai vertici del sodalizio Santapaola-Ercolano avviene per linea di sangue rispetto ai capi mafia storici, in particolare a Benedetto Santapaola».
«L'indagine – ha sottolineato il comandante provinciale dei carabinieri di Catania – scatta una fotografia molto chiara della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano. E’ un sodalizio attivo sul territorio in grado di esercitare una rilevantissima pressione estorsiva ed una forza intimidatrice. Lo dimostrano le attività criminali che sono state documentate durante le indagini, un rilevante traffico di sostanze stupefacenti che approvvigionava tutte le piazze di spaccio della città, estorsioni ai danni di imprenditori ed attività commerciali, intestazioni fittizie di beni».
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