Cronaca
Eolie: il capodoglio Furia s’inabissa con la rete ancora impigliata nella coda, appello per ritrovarlo
MESSINA – Non si trova più la femmina di capodoglio con la coda rimasta impigliata nelle reti abbandonate a largo di Salina. Ne dà notizia Carmelo Isgrò, il biologo marino che lavorato fino a ieri per la sua liberazione insieme a una squadra formata dalla Guardia Costiera e dai sommozzatori della Capitaneria di Porto di Napoli.
«In meno di un mese due capodogli sono rimasti intrappolati in reti abbandonate nell’arcipelago delle Eolie. Il primo è stato liberato e ora Furia, una femmina di oltre 10 metri, è scomparsa con la coda ancora imprigionata nella rete da pesca illegale usata per catturare tonni e pescispada. E’ ora che il Governo e il Parlamento ripensino la politica della pesca regolamentando seriamente queste trappole. Le “reti fantasma” e altre attrezzature, come i palangari, sono spesso i killer invisibili di tartarughe, grandi pesci e cetacei» dice il presidente dell’Oipa Italia, Massimo Comparotto».
L’Oipa lancia un doppio appello: chiunque avvisti il capodoglio chiami immediatamente la Guardia Costiera di Lipari al numero 090 988 0819.
Un appello arriva anche dalla presidente del Wwf Italia Donatella Bianchi. «Lanciamo un appello a chiunque si trovi in navigazione nel tratto di mare eoliano e avvisti il capodoglio in difficoltà, a segnalarlo immediatamente al numero 1530 della Guardia Costiera. Il fattore tempo, ora, è fondamentale per salvarlo».
Quella per salvare il giovane capodoglio, che, nonostante la grande rete che lo mette in pericolo, riesce a compiere immersioni della durata anche di 40 minuti, è una corsa contro il tempo.
Alcune specie come il tursiope, la stenella, il grampo, il capodoglio e il delfino comune, si avvicinano occasionalmente alle attrezzature da pesca, interagendo più spesso con alcune, sottraendo il pesce dalle reti, causando buchi e strappi e, in alcuni casi, possono rimanerne intrappolati. L’attrezzo più pericoloso da questo punto di vista è la rete pelagica derivante, la spadara, messa al bando in tutto il mondo sin dai primi anni novanta dalle Nazioni Unite e vietata dalla Commissione Europea dal 2002 e dal 2005 in tutto il Mediterraneo, ma ancora utilizzata illegalmente.
Altre interazioni possono avvenire con le reti da posta fisse, più raramente con le reti a strascico, con quelle a circuizione, con le lenze e i palangari. Si stima che ogni anno muoiano nelle reti da pesca mondiali circa 300.000 esemplari di cetacei, ben 1.000 al giorno. Nonostante il divieto dell’Ue, la Guardia Costiera italiana continua a sequestrare ogni anno chilometri di spadare: nel 2005 ha sequestrato ben 800 km di reti spadare seguiti dai 600 Km del 2006, ma i sequestri continuano anche oggi con numerosi casi di cronaca nel 2019 e nel 2020.
Nel Mediterraneo effettuare stime è difficile a causa della scarsità di dati scientifici e di controlli puntuali, tuttavia non risulta difficile credere che siano migliaia i cetacei che rimangono vittime del bycatch.
Nonostante la loro grande mole (gli esemplari maschi possono arrivare fino ai 18 metri di lunghezza e alle 50 tonnellate di peso), sono dei giganti fragili. L’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (Iucn) considera la specie in pericolo di estinzione nelle acque del Mediterraneo e le minacce che minano il suo stato di conservazione sono principalmente di origine antropica: plastica, collisioni con le grandi imbarcazioni, rumore sottomarino e bycatch.
E Furia, la giovane femmina di capodoglio, è proprio vittima di quest’ultimo: è intrappolata in una grossa rete che costringe e limita i movimenti della pinna caudale, non riesce a nuotare liberamente e potrebbe avere dei problemi nell’immergersi per alimentarsi.
Il Corpo della Guardia Costiera insieme a biologi e attivisti di diversi enti e associazioni tra cui il MuMa di Milazzo, Sea Shepard e Filicudi Wildlife Conservation, hanno trascorso, gli ultimi due giorni e due notti con l’individuo per monitorarlo e seguirne i movimenti. L’attività di liberazione è risultata difficile a causa dell’agitazione del giovane capodoglio di circa 10 metri, ferito e impossibilitato nei movimenti.
I capodogli, i più grandi predatori del Mare Nostrum, nuotano regolarmente nelle acque profonde del Canale di Sicilia e dell’arcipelago eoliano, dove riescono a trovare in prossimità delle scarpate abbondanza di cefalopodi (seppie e calamari), le loro principali prede. Sono animali incredibili e indiscussi campioni di immersioni: possono arrivare oltre i 1000 metri di profondità e restare in apnea per oltre 90 minuti.
COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA