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Enzo Ercolano, l’ascesa del rampollo che faceva l’imprenditore ed è diventato boss della mafia catanese

Di Redazione |

CATANIA – Vincenzo Ercolano, 51 anni, destinatario oggi del provvedimento definitivo di confisca che ha portato nelle tasche dello Stato beni per ol tre 10 milioni tra cui la famosa ditta di autotrasporti Geotrans, condannato l’anno scorso per mafia a 15 anni di reclusione, è stato indicato dagli inquirenti  come l’esponente più autorevole degli ultimi anni della famiglia di Cosa nostra degli Ercolano-Santapaola: il padre Giuseppe “Pippo” Erolano (deceduto) sposò la sorella del boss Benedetto “Nitto” Santapaola.  Giuseppe Ercolano, coinvolto in varie inchieste di mafia, era considerato uno dei principali punti di forza del mondo ortofrutticolo, mentre il fratello di Enzo, Aldo Ercolano e lo zio Benedetto Santapaola, condannati all’ergastolo e detenuti in regime di 41 bis, sono considerati ai vertici della famiglia di Cosa Nostra. 

La recente inchiesta Caronte ha fotografato l’ascesa di Enzo Ercolano negli ultimi anni. Ma Vincenzo Ercolano era stato arrestato una prima volta nel 2000 (operazione «Orione») ed era stato assolto nel 2002 (con tanto di risarcimento per l’ingiusta detenzione), e poi nel 2007 (operazione «Dionisio») ed anche in questo caso era stato assolto nel 2009. Ma è nel 2010 che arriva il terzo arresto – nell’ambito nell’ambito di una inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia partenopea – e le prime imputazioni pesanti per mafia: viene accusato di aver gestito, in accordo con il clan camorristico dei Casalesi, in regime di monopolio, i trasporti dei prodotti ortofrutticoli da Catania verso i mercati campani e verso l’importante mercato “snodo” di Fondi attraverso la sua ditta Geotrans. 

Ercolano però viene scarcerato anche in questa occasione e i suoi legali sottolineano come «si sono occupati di lui all’incirca una cinquantina di magistrati che hanno passato al setaccio la sua azienda di trasporti e la sua vita», ma «egli è stato sempre assolto con formula piena da ogni accusa di contiguità mafiosa».

Ma, come detto, è l’inchiesta Caronte, che conferma la particolare vocazione imprenditoriale della famiglia di Cosa nostra catanese e consente di individuare con precisione alcuni dei settori all’interno dei quali essa si sarebbe infiltrata. E allora la domanda sorse spontanea. Enzo Ercolano è un «onesto imprenditore» come sostengono i suoi legali o un mafioso? La rsiposta sta negli incartamenti raccoli dai carabinieri del Ros e dai i magistrati della Procura della Repubblica di Catania direttamente con l’operazione «Caronte». 

Il suo nome ricorre a più riprese nelle carte del blitz e gli investigatori non hanno mancato di sottolineare come fin troppo spesso la figura dell’imprenditore lasciava spazio a quella del mafioso. Ercolano, è scritto, trattava in modo autoritario e violento i padroncini che lavoravano per lui, risolveva direttamente i problemi di richiesta di “messa a posto”, difendeva le sue società dai danni provocati dalla malavita servendosi del metodo mafioso e del suo nome (un delinquente che aveva rubato il camion di un suo protetto fu presto individuato e punito a bastonate), espandeva la sua influenza imprenditoriale nei mercati servendosi di Cosa nostra e, quando occorreva, affrontava con metodi “tipicamente mafiosi” i contrasti che poteva avere con imprenditori protetti da altri mafiosi o, direttamente, con altri mafiosi.

“Enzo” Ercolano viene indicato come socio occulto di svariate società attive prevalentemente nel settore dei trasporti, il grande affare di famiglia. Fra queste la società R. c. l. cooperativa, costituita il 30 gennaio 2014 da Marco Maria Antonio Anastasi, Santo Floridia e Davide Pappalardo: i primi due dipendenti della Geotrans, società di trasporti ufficialmente degli Ercolano, il terzo figlio di un altro dipendente della stessa Geotrans.

Ebbene, quando nel marzo di quest’anno la Geotrans veniva sottoposta a sequestro e confisca di prevenzione, la R. c. l. cominciava a muoversi in questo mercato, stabilendo la propria sede legale nei locali, pensate un po’, della Geotrans.

La “sensazione” era che la nuova cooperativa, cui la sorella dell’indagato aveva ceduto le autorizzazioni per l’attività di trasporto di merci su strada per conto terzi, fosse stata “creata” per aggirare le norme in materia di prevenzione e permettere allo stesso socio occulto, ovvero Ercolano, di continuare a fare affari. “Enzo”, così, indirizzava i suoi storici clienti dalla Geotrans alla R. c. l., spiegando che se si fossero presentati i mezzi della Geotrans a ritirare la commessa, ebbene, loro non avrebbero dovuto caricare («quello che facevate a Geotrans lo facciamo in questa maniera qua»). Anzi, avrebbero dovuto maltrattarli, per far capire loro che non era aria. E ciò anche se la Geotrans garantiva prezzi concorrenziali.

Certo, non tutto con la vecchia clientela filava sempre liscio come l’olio. Come nel caso del titolare di un’azienda agricola specializzata nella vendita di fichi d’india, che aveva l’esigenza di spostare un quantitativo di merce non proprio imponente verso la Campania e la Lombardia. In quell’occasione Ercolano disse che l’affare non interessava, ma quando l’interlocutore gli rispose che si sarebbe rivolto alla Geotrans, già amministrata dallo Stato, l’«imprenditore» disse che ci avrebbe pensato comunque lui. Ricordando pure le nuove coordinate bancarie su cui effettuare il pagamento della commessa, ciò al fine di evitare che lui «lavorava e gli altri si prendevano i soldi».

Numerose le intercettazioni in cui emerge che l’amministratore delegato della R. c. l., Marco Anastasi, riceveva disposizioni da Enzo Ercolano, ma fra le intercettazioni più significative c’è quella fra un amico napoletano attivo nel settore dei trasporti e lo stesso indagato: «Enzo, ma com’è la situazione, perché io non sto capendo niente», dice il primo finito in confusione per la vicenda della Geotrans finita sotto sequestro. E l’altro: «La situazione sta che io mi sono dovuto.. mi sono fatto, mi sono messo per gli affari miei e c’ho la mia azienda. E l’azienda sta continuando a lavorare con…. Sta continuando a lavorare…. Siccome io devo vivere e non so rubare, mi sono creato la mia aziendina e ho il mio lavoro. Punto! ».

«Quindi nell’altra azienda? », domanda l’altro. «Non ci posso neanche entrare fino a quando non finisce la causa (…) Il lavoro loro lo stanno facendo, mi devono tenere viva l’azienda: spero che si concluda il prima possibile in modo che io posso ritornare a casa mia e mi risolvo le cose. Comunque quando ti chiamo io è la mia azienda, quando ti chiamano loro… sono loro».

L’interlocutore azzarda: «Ho capito, hai fatto un’azienda parallela». Ed Ercolano, quasi adirato, mentre ricorda che si deve «pagare il mutuo»: «Non ho fatto parallela, ho fatto la mia. Parallela non ho fatto un cazzo».

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