LA RAFFINERIA
Dopo lo stop al depuratore la fermata degli impianti. Salute o lavoro, il dilemma di Priolo
Il sequestro poterebbe rendere inevitabile la chiusura delle produzioni. Aziende pronte a incontrare l’amministratore giudiziari
Fino a ieri era ancora tutto regolare, con gli impianti in marcia e nessuna ripercussione sull’esercizio di raffinerie e stabilimenti in tutta la zona industriale. Ma la situazione potrebbe cambiare da un momento all’altro. Lo hanno già detto espressamente esponenti di vertice di almeno due grandi aziende: «Se la Procura dovesse decidere di chiudere le valvole, non ci sono tante alternative». E ancora: «Tutta la zona industriale si troverebbe in difficoltà, con immediata fermata degli impianti».
Sarebbe questa, infatti – la fermata degli impianti – la prima conseguenza del provvedimento con cui il gip del tribunale di Siracusa mercoledì mattina ha ordinato il sequestro del depuratore Ias di Priolo, nel quale confluiscono i reflui dei Comuni di Melilli e Priolo, ma soprattutto i fanghi dalle aziende della zona industriale. Nell’ordinanza, infatti, che avalla le impostazioni della Procura, oltre alla contestazione del reato di disastro ambientale aggravato «in relazione all’inquinamento atmosferico e marino» per i vertici Ias e delle grandi aziende che in quel depuratore scaricano, spicca la «totale inadeguatezza» dell’impianto «allo smaltimento dei reflui industriali immessi dalle società coinvolte».
Per cui il depuratore potrà continuare a ricevere i reflui domestici dei due comuni (Priolo e Melilli), ma non più i reflui provenienti dalle grandi aziende del polo industriale. E senza il conferimento dei reflui le aziende dovrebbero fermare gli impianti.
La provincia di Siracusa, insomma, per l’ennesima volta nella sua storia si trova, in relazione al proprio modello di sviluppo, dinanzi al dilemma ambiente-salute-lavoro. Declinato dalla magistratura che, ancora una volta (come nelle inchieste del 2017 e 2019, ma anche negli Anni Ottanta con il pretore Nino Condorelli) si trova a dover fare le veci degli enti di controllo. Con il sovrappiù dell’individuazione di profili di responsabilità.
L’accusa è grave: disastro ambientale aggravato in relazione all’inquinamento atmosferico e marino; e coinvolge, oltre ai vertici della società Ias anche quelli delle grandi aziende come Versalis, Sonatrach, Raffineria Italiana, Esso, Sasol, Isab e Priolo servizi. Secondo le conclusioni della Procura, che il gip ha avallato, la gestione “abusiva” del depuratore avrebbe prodotto negli anni l’immissione illegale in atmosfera di circa 77 tonnellate all’anno di sostanze nocive e di oltre 2.500 tonnellate di idrocarburi in mare, tra il 2016 e il 2020.
Per questo, in provincia, magari tra chi non ha legami diretti, di lavoro e sopravvivenza con il polo, o ha trascorso una vita nell’ambientalismo militante, sussurra “chissenefrega” di fronte all’ipotesi di fermata degli impianti.
Di contro, tra i vertici aziendali si mastica amaro: “È ragionevole pensare a un’associazione criminale che coinvolga Sasol, Sonatrach, Isab, Priolo Servizi, e quindi anche Erg, Versalis e indirettamente Eni? Con quale fine?". Le condizioni di esercizio del 2019, anno cui si riferiscono le indagini che hanno portato al sequestro, sono le stesse di oggi, “ma anche le stesse del 2017, del 2015, o del 2008 o del 2002”, è la coda del masticamento amaro degli industriali. Che riguardo alla certezza di dover rinunciare del tutto a conferire reflui nel depuratore sequestrato, attendono di incontrare l’amministratore giudiziario, che si insedierà forse oggi stesso. È l’esperto Piero Capitini, che nel curriculum vanta, tra le altre cose, l’amministrazione giudiziaria della Fiera di Milano, dopo l’inchiesta del 2017.