Notizie Locali


SEZIONI
Catania 9°

Contenuto riservato ai membri

mafia

Don Luchino, i fratelli Graviano e i soci catanesi: chi sono i boss irriducibili della strategia del terrore

La strategia del terrore decisa a Castelvetrano. E i clan etnei ebbero un ruolo di primo piano

Di Laura Distefano |

La strategia del terrore fu decisa a Castelvetrano. A settembre-ottobre del 1991 – la data precisa non si sa – Toto Riina convocò i massimi vertici della cupola corleonese e gli alleati palermitani che decisero di confluire con i vincitori della seconda guerra di mafia. Una faida che schiacciò la vecchia mafia di Bontate. Nelle oltre 500 pagine della sentenza della Corte d’Assise di Firenze del 2012 sulle bombe del 1993 sono vergati i nomi dei partecipanti a quel summit che decise la condanna a morte di decine di innocenti. Tra i presenti il defunto Matteo Messina Denaro, rappresentante della famiglia di Trapani, Mariano Agate, capomafia di Mazara del Vallo, Giuseppe e Filippo Graviano, vertici del mandamento di Brancaccio. «In questo incontro Toto Riina ci disse che dovevamo incominciare a pensare sia a Falcone che a Martelli. E quindi dovevamo partire, organizzarci per andare a Roma», rivelò Vincenzo Sinacori, l’erede di Agate (morto nel 2013).

Messina Denaro non è l’ultimo stragista ancora vivo

Non è vero che Matteo Messina Denaro era l’ultimo stragista ancora vivo. Di mafiosi che condivisero di piazzare tritolo, uccidere giudici e far saltare in aria palazzi e auto ne sono piene le carceri. Basta partire da quella riunione per stilare un elenco di corleonesi ancora in vita seppur detenuti. I nomi dei fratelli Graviano di Brancaccio sono nell’elenco degli imputati di due sentenze storiche: Strage di Capaci e bombe del 1993. Figli di Michele Graviano, uomo d’onore di Brancaccio che fu ammazzato nel 1982, ebbero un ruolo cruciale nell’organizzazione delle stragi di Roma, Firenze e Milano. Come il fratello Filippo, Giuseppe divenne padre nonostante il 41bis. Si parlò di inseminazione artificiale, ma molti dubbi ancora aleggiano. Il nome, in particolare, di Giuseppe è legato a un altro corleonese da tempo in gattabuia Don Luchino Leoluca Bagarella per il tentativo di ammazzare il commissario Rino Germanà. Bagarella qualche giorno dopo la morte del giudice Paolo Borsellino (Graviano è indicato dai pentito come quello che azionò il telecomando) andò a Catania per una pungiuta.

I catanesi

Il rampante Santo Mazzei fu fatto uomo d’onore in una cerimonia in cui partecipò anche Giovanni Brusca – come lui stesso confessò da pentito – e Antonino Gioè. Lo piazzarono all’interno della famiglia catanese di Cosa nostra dove al comando c’era Nitto Santapaola, anche lui condannato per gli eccidi di Falcone e Borsellino nonostante la sua linea più diplomatica rispetto al rapporto con le Istituzioni. Ma il silenzio per la Cassazione equivale a un assenso morale. E infatti Mazzei, che fu ingaggiato per l’ordigno lasciato al giardino dei Boboli alle spalle di Palazzo Pitti a Firenze, fu scelto per destituire Santapaola dal trono ma il piano fallì. Ben due volte. La prima perché arrivarono le manette nell’autunno del 1992. E la seconda, nel 1998, quando la polizia di Palermo indagando su Vito Vitale – per un tempo considerato il numero 1 di Cosa nostra dopo l’arresto di Brusca avvenuto nel 1996 – scoprì che Mazzei comunicava dal carcere con il suo delfino Massimiliano Vinciguerra a cui i corleonesi ordinarono di ammazzare i più illustri santapaoliani. Ma il progetto fu scoperto per una talpa e Vinciguerra cadde in una trappola mortale.

Messina Denaro e il rapporto con Graviano

Ma torniamo a Giuseppe Graviano, che ultimamente è stato condannato anche nel processo “ndrangheta stragista”. Era uno dei boss che ebbe forse il legame più stretto con il capomafia di Castelvetrano. Messina Denaro insomma ebbe un piede dentro il mandamento di Brancaccio. Che poi consolidò con il matrimonio della sorella Rosalia con Filippo Guttadauro (fratello di Giuseppe che divenne capo del mandamento dopo la cattura di Graviano). Ed è in quella relazione amorosa che Matteo vide la sua eredità: Francesco – o meglio Ciccio – fu il suo nipote prediletto fin dalla nascita. Anche lui finì dietro le sbarre. Già giovanissimo. Qualcuno sussurra che Messina Denaro abbia dato a lui le chiave dei suoi segreti.

COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA
Di più su questi argomenti: