Discoteche, parla il buttafuori: «Risse, ubriachi, attaccabrighe... da 15 anni sempre più “fango”»
Intervista con un esperto di sicurezza all'indomani dell'ennesimo caso di violenza in un locale notturno
Ognuno di loro ha mille storie da raccontare. Ognuno di loro ha almeno una rissa a cui ha preso parte. Ognuno di loro ha dovuto subire minacce che però, per fortuna, il più delle volte non si sono estrinsecate in fatti concreti. Sono i “ragazzi” che lavorano nel mondo delle discoteche e dei locali alla moda. Anzi, per essere più precisi, sono quelli chiamati a fare selezione all’ingresso e, magari, ad accompagnare rapidamente alla porta quei clienti che hanno alzato il gomito o che, comunque, hanno disturbato il regolare svolgimento della serata.
“Riccardo”, ad esempio, è un volto storico nell’ambiente delle discoteche catanesi. Da una trentina d’anni lavora nel settore della sicurezza e conosce retroscena che ai più sono negati. Accetta di raccontarne alcuni ma soltanto a patto che, come si fa in questi casi, gli venga garantito l’anonimato. E così sia.
«Cominciamo subito col dire - attacca - che non è corretto fare di tutta l’erba un fascio, ma bisogna sapere pure che in un settore in cui da almeno quindici anni io riscontro un aumento del “fango”, è ancora diffuso il fenomeno che porta i gestori delle discoteche a sfruttare, per la sicurezza del locale, una sorta di doppio binario. Mi riferisco, in particolar modo, agli accordi che vanno a sovrapporsi a quelli con le agenzie di “security” e che, nello specifico, vengono stretti con rappresentanti delle forze dell’ordine in servizio o appena andati in pensione. Quando ci sono “casi” difficili da fronteggiare, quando l’atmosfera diventa rovente magari per un accumularsi di questioni, è possibile imboccare diverse strade. Da quella più pericolosa, che può portare a scomodare qualche soggetto per così dire “pesante”, a quella che porta a chi indossa o ha indossato la divisa e che, per questo, può contare su metodi di persuasione in linea di massima ammantati di legalità ma non per questo meno efficaci».
«Appare ovvio - chiarisce “Riccardo” - che quando ci si rivolge a persone vicine alla mala ci sono dei rischi da non sottovalutare. Chi ti aiuta, infatti, ti chiederà inevitabilmente qualche assunzione, la gestione di qualche servizio - dal guardaroba, al bar ai parcheggi, sempre che non siano già stati affidati a soggetti “opachi” per il… quieto vivere - e poi comincerà a frequentare quel locale assieme ai propri “carusi”. Gli stessi che, magari, manterranno lontani i giovani vicini ai gruppi contrapposti ma che faranno scadere il livello di frequentazioni di quella struttura».
E lei si è trovato a lavorare in queste situazioni?
«Diciamo che quando sono stato chiamato da questo o da quell’altro imprenditore il più delle volte ho preferito evitare queste situazioni di compromesso. Ho sempre chiesto di lavorare con i miei ragazzi, assumendomi le responsabilità su tutto. Non siamo mai andati a fare da “arbitri” fra soggetti contrapposti, ma ci siamo sempre adoperati per mantenere la tranquillità ed eseguire le indicazioni di chi gestisce il locale. Chi mi conosce, anche fra un certo… tipo di clientela, sa che non è mio costume discriminare qualcuno soltanto perché viene da un quartiere piuttosto che da un altro. Ho sempre mantenuto il mio equilibrio. Per me quel che conta è che la serata si svolga senza scossoni. Per questo sono ancora rispettato da tanta gente».
Vuol farci credere che non ha mai avuto problemi con i ragazzi dei clan?
«Un paio di volte mi sono trovato una pistola puntata al fianco. Poi, però, si è sempre trovata l’occasione per discutere e per appianare le eventuali divergenze. E, comunque, non tutti, alla fine, venivano fatti entrare nel locale».
E con gli ubriachi? Chissà quante volte ci saranno state scintille.
«In effetti con “quelli” i problemi capitano sempre. Specialmente in orari prossimi alla chiusura. Guai ad affrontarli con violenza, però. Se hai “occhi clinico” riesci a fermarli almeno un paio di metri prima dell’ingresso, sapendo che possono sbatterti in faccia il primo oggetto a portata di mano. Ci si parla, si prova a farli ragionare e magari si bluffa chiedendo loro di tornare smaltiti i fumi dell’alcol. Spesso non tornano…».
Che idea si è fatta di quel che accade in così tanti locali della nostra Isola? Perché tante risse e tanta violenza?
«Detto che non tutti i locali si affidano a una “security” qualificata, io credo che per una questione di disagio sociale, ma anche di “moda”, in tanti vanno in giro nel weekend proprio per attaccare brighe. C’è la voglia di dimostrare ai propri amici, alle proprie donne, di essere forti, “cazzuti”, coraggiosi. Quando, invece, certe azioni sono soltanto da coglioni. E, talvolta, possono concludersi nel peggiore dei modi anche per chi questa violenza è solito praticarla. So che sono parole al vento ma mi auguro che facciano riflettere ancora qualche giovane con la testa sulle spalle».