Depistaggio Borsellino, tutte le ombre della Boccassini sul pool dell’ex procuratore Tinebra

Di Redazione / 20 Febbraio 2020

CALTANISSETTA – «Se non avessi fatto queste relazioni» sull’attendibilità di Vincenzo Scarantino «oggi avrei avuto tutte le colpe di questo mondo. Ma con queste relazioni è più complesso…». E’ un passaggio della lunga deposizione in videoconferenza dell’ex Procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini al processo sul depistaggio Borsellino in corso a Caltanissetta. Il riferimento è alle due relazioni che Boccassini ha scritto per esprimere i suoi dubbi sulla credibilità di Scarantino, che con le sue dichiarazioni ha fatto condannare ingiustamente degli imputati per la strage di via D’Amelio, fatto perdere anni preziosi alla giustizia e alla famiglia Borsellino ancora oggi in attesa di una verità vera sulla morte del giudice Paolo Borsellino che con Giovanni Falcone ha scritto le pagine più importanti della lotta alla mafia in Sicilia. Alla sbarra oggi tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di calunnia aggravata in concorso. 

Ilda Boccassini ha parlato a ruota libera gettando ombre sinistre sulle indagini eseguite dal pool dell’allora procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra, oggi deceduto, e su come furono eseguite le prime indagini sulla strage di via D’Amelio. Risponendo alle domande del Procuratore aggiunto di Caltanissetta Gabriele Paci, ha ripercorsodo il periodo in cui era stata applicata alla Procura nissena dopo le stragi. «Arrivai nell’ottobre del ’92 – dice – e rimasi fino al 1994».

«Nel dicembre (’92, ndr) esaminai una massa di carte informi, senza nessun ordine. La prima difficoltà fu quella di metterle in ordine e capire quale potesse essere la prospettiva investigativa. L’incartamento informe della strage di Capaci era nella mia disponibilità materiale. Ricordo con affetto una frase di Tinebra, che per altro non conoscevo, che mi disse “cocca mia, qua sono queste carte arrangiati fai quello che devi fare”. La prima cosa concreta che decisi di fare era quella di rifare un sopralluogo a Capaci. Ci siamo resi conto che il primo era stato fatto male». 

«Facemmo quindi di nuovo il sopralluogo con carabinieri, polizia, finanza e Fbi sotto la direzione della procura di Caltanissetta. Questo avvenne a dicembre. Avevo constatato una mancanza di regia sia nelle indagini di Capaci che in quella sulla strage di via D’Amelio», ha concluso Boccassini.

«Decidemmo di rinnovare il sopralluogo sul tratto di strada della strage di Capaci perché era stato fatto male. Quello che fu raccolto in precedenza – ha detto la Boccassini rispondendo all’avvocato di parte civile, Fabio Trizzino – non fu fatto in maniera capillare. Ci fu anche l’esigenza di ripristinare la strada che portava all’aeroporto, quindi mi resi conto che era necessario ripercorrere tutta la zona, esaminando zolla per zolla il terreno».

«Furono trovati mozziconi di sigaretta e rami recisi a Monte Pellegrino, furono poste sotto controllo utenze di persone che in un modo o nell’altro avrebbero potuto essere corresponsabili o semplici testimoni che, per paura o omertà, non avevano riferito alla magistratura ciò che avevano visto. Fu aperto un fascicolo in America, essendo Giovanni Falcone una persona importantissima. Furono mandati anche agenti della Fbi».

 

I sospetti su Genchi

«Questa persona non mi piaceva, diffidavo di lui e mi sembrava che non fosse una presenza necessaria e importante per le indagini. Se lui ha litigato con La Barbera non lo so e non mi interessa. Feci capire a Tinebra che se ne poteva fare a meno»: così invece la Boccassini ha parlato di Gioacchino Genchi, l’ex poliziotto ed ex consulente informatico della Procura di Caltanissetta.

«Era una persona pericolosa per le istituzioni, aveva conservato un archivio con i tabulati raccolti. E poi vedeva complotti e depistaggi ovunque. Ne parlai anche a La Barbera – ha aggiunto – che era d’accordo sul fatto che non si poteva pendere dalle labbra di uno come Genchi. Il suo apporto alle indagini fu nullo. Era un tecnico, non un investigatore, quindi non poteva apportare nulla a un’indagine così seria».  

 

La diffidenza su Scarantino

«Nel ’92 – ha raccontato ancora – quando arrivai Vincenzo Scarantino era già detenuto. Quando ho saputo della pista della 126 anche parlando con i colleghi che c’erano e con lo stesso dottore La Barbera c’erano i dubbi su una persona che non era per nulla di spessore, se non per una parantela importante nell’ambito di Cosa Nostra. Però si era all’inizio, non ero entrata nella mentalità, nella carte. Io un’opinione potevo farmela conoscendo le persone. Ero lì in attesa ma gli altri andavano tutti con i piedi di piombo su questa cosa».

«Io e il collega Saieva facemmo una relazione in cui scrivevamo che man mano che si facevano gli interrogatori c’era la prova regina, inconfutabile, che Scarantino stava dicendo sciocchezze e quindi si doveva correre subito ai ripari per evitare cose che nel tempo avrebbero pregiudicato le indagini». 

«Fino alla fine – ha aggiunto Boccassini, rispondendo al pm Gabriele Paci – dissi ai colleghi che bisognava cambiare metodo, che Scarantino andava preso con le molle, e vedendo anche che c’era voglia che io andassi via quanto prima di Caltanissetta, scrissi la seconda relazione. Che poi altri colleghi si siano lamentati e abbiano messo per iscritto quello che accadeva a Caltanissetta nell’ultimo periodo, io non lo so, non credo».

Le relazioni sparite

«Soltanto con il pentimento di Spatuzza, nel 2008, ricevetti una telefonata dall’allora procuratore di Caltanissetta che mi chiese se era vero che io avevo scritto delle relazioni con Roberto Sajeva: erano sparite. Ma ne avevo deiverse copie. Io e Sajeva, dopo averne parlato con Giancarlo Caselli, mandammo le relazioni direttamente a Palermo. Sono qui per la quarta volta a ripetere sempre le stesse cose – ha concluso – sentendomi quasi in colpa per aver scritto quelle relazioni che avrebbero potuto dare una scossa a quei processi».

Mandata in ferie

«Su Vincenzo Scarantino vi erano visioni completamente diverse. Pur convinta della non credibilità del soggetto, dissi a Tinebra: «se vuoi rinuncio alle ferie perché avevo capito che c’era necessità di un ago della bilancia» ha ricordato la Boccassini. «Gli altri colleghi erano propensi a dire da subito “bene, Scarantino sta collaborando”. Per me c’erano delle perplessità. Tant’è che dissi di concentrare gli interrogatori ad agosto e che non sarei andata in ferie. La risposta di Tinebra fu: “Ti sei sacrificata tanto, ora te ne vai in ferie”, tant’è che tornai a settembre. Il patatrac per me e Roberto Sajeva fu quello che leggemmo al nostro ritorno. Essere tenuta fuori dai giochi era la prassi. Vuoi per leggerezza, vuoi per sciatteria, non ero più la protagonista come lo ero stata nei mesi precedenti nella dinamica investigativa delle due stragi».

I pm Palma e Petralia

Boccassini ha ricordato che gli unici a dare davvero credito al falso pentito erano i pm Annamaria Palma e Carmelo Petralia, oggi indagati a Messina per calunnia aggravata in concorso, con l’accusa di avere indotto Scarantino a fare delle dichiarazioni. Nei mesi scorsi il pm Petralia ha detto che era normale preparare i pentiti prima degli interrogatori. Oggi la Boccassini ha rammentato che «prima degli interrogatori il procuratore Tinebra si chiudeva in una stanza, solo, con Vincenzo Scarantino. Non so il tempo preciso ma per un bel po’. Poi Tinebra apriva le porte e si entrava a fare l’interrogatorio».

Il dubbio su Tinebra

«In questi anni mi sono chiesta tante volte perché la procura nissena non interrogò mai Tinebra mentre era in vita», ha detto Ilda Boccassini nel corso della sua deposizione, provocando subito la risposta del pm Gabriele Paci: «Evitiamo di trasformare questo processo in una sorta di mercato. Tinebra fu sentito nel Borsellino quater e quindi evitiamo di fare commenti».

Più volte è intervenuto il presidente Francesco D’Arrigo nel botta e risposta tra Boccassini e l’avvocato Fabio Repici, invitando entrambi a evitare di commentare.

La Boccassini ha ricordato che a un certo punto delle indagini era «disponibile persino a un trasferimento d’ufficio da Milano alla Procura di Caltanissetta, ma l’allora procuratore Tinebra disse “assolutamente no”. Non mi volevano. E io sono stata così imbecille da essere disposta a trasferirmi a Caltanissetta». 

«Se i colloqui investigativi con Vincenzo Scarantino servivano per addestrarlo – ha detto in merito al falso pentito – chi li ha fatti meriterebbe di essere cacciato da ogni funzione pubblica».

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