«C’era un rapporto di vicinanza tra il dottore Arnaldo La Barbera e alcuni esponenti di Cosa Nostra. La prima volta che ho sentito il nome di La Barbera fu dopo una rapina a Palermo, nei primi anni ’90, quando aveva sparato a un rapinatore della zona Acquasanta uccidendolo. Siccome nelle regole di Cosa Nostra quelli che potevano sparare erano solo loro, Salvatore Biondino, con cui avevo buoni rapporti, mi aveva comunicato che bisognava uccidere Arnaldo La Barbera». Lo ha detto il collaboratore di giustizia Francesco Onorato, in collegamento da un sito riservato, nel corso dell’udienza di oggi pomeriggio del processo sul depistaggio delle indagini della strage di via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta. Nell’ultima udienza la Corte d’Appello, presieduta da Giovanbattista Tona, aveva disposto la riapertura dell’istruttoria dibattimentale e l’esame dei collaboratori di giustizia Francesco Onorato e Vito Galatolo. Quest’ultimo oggi non ha potuto deporre perché assente per motivi di salute. «Un poliziotto – ha continuato Onorato, rispondendo alle domande del pm Maurizio Bonaccorso, applicato alla Procura – non poteva permettersi di uccidere una persona, per le regole di Cosa Nostra. Biondino mi dice anche però che Riina e i Madonia tenevano a questo La Barbera, che lo avevano ‘nelle mani’ e allora avevano archiviato questa cosa e non se n’è fatto più nulla. Successivamente Biondino, che era il portavoce in quel periodo di Riina mi comunica che si doveva uccidere La Barbera».