Perché l’avrebbero fatto? L’interrogativo, più che giuridico, è politico. Per raggiungere quale scopo i dati sul Covid in Sicilia sarebbero stati taroccati?
Il procuratore di Trapani, Maurizio Agnello, ieri intervistato da più fonti, parlando dell’«indagine più difficile della mia vita, quella che mi ha più messo in crisi», affronta il tema: «Dobbiamo capire il perché». E argomenta: «Il reato di falso di solito è funzionale a qualcosa: io falsifico un testamento perché voglio mettere le mani sull’eredità».
Il magistrato qualche spiegazione sulla condotta degli indagati la abbozza: «Atteso che la massima autorità regionale, il presidente Nello Musumeci, aveva più volte invocato la zona rossa, l’unico motivo che ci siamo dati è per dare una sensazione di efficienza della macchina regionale che non corrispondeva al vero». E con l’AdnKronos si dice «certo» che «dai telefonini e dai computer sequestrati verrà fuori altro, ma tanto altro ancora», aggiungendo che «dai primi WhatsApp che abbiamo visto c’è parecchio materiale…».
Nonostante il codice penale non contempli la fattispecie (molto da fiction Usa) del movente, cercarlo ha comunque un senso. Soprattutto di fronte all’indignazione e al senso di smarrimento che da martedì si respirano fra i cittadini siciliani.
Qualche indizio c’è nell’ordinanza del gip di Trapani. Il procuratore Agnello ricorda: «Una cosa giusta l’ha detta Razza, in un’intercettazione, cioè che quanto stava accadendo è il “fallimento delle politica”. Ed è vero. I siciliani si sono assuefatti a una politica che decide tutto nella sanità».
Il riferimento è a un dialogo, del 4 novembre scorso, in cui la dirigente regionale Letizia Di Liberti, ora agli arresti domiciliari, dice al vicecapo di gabinetto dell’assessore che Razza era «seccato, mi disse: il fallimento della politica, non siamo stati in grado di tutelarci, i negozi che chiudono, se la possono prendere con noi, non siamo riusciti a fare i posti letto. Ci dissi: ma non è vero, reggiamo perfettamente».
Poi ci potrebbero essere altri conti (politici e sanitari) in sospeso. Come quello con Leoluca Orlando, alla vigilia di una zona rossa per Palermo (poi sfumata), ma non comunicata subito, come argomenta Razza a Nello Musumeci in un’intercettazione, «perché se glielo diciamo ad Orlando, Orlando se la vende subito…». O come il conto aperto con un altro sindaco, Cateno De Luca, che a Messina osteggia l’operato (definito «una vergogna») del manager dell’Asp, Paolo La Paglia, ritenuto vicino a Francantonio Genovese, poi sospeso a febbraio scorso.
Gli indagati «si pongono il problema di dare tali dati considerando la pressione negativa che il sindaco di Messina De Luca sta facendo nei confronti dell’amministrazione regionale, valutando anche il fatto che bisognerebbe intervenire nei suoi confronti», scrive il gip. Riferendosi, fra l’altro, a un’intercettazione in cui la stessa Di Liberti chiede a un componente dello staff di Razza: «I dati ti servono per migliorare, quindi fare bella figura o affossare La Paglia?». Risposta: «No, serve per bilanciare le polemiche su De Luca, cioè quindi per fare bella figura, per far vedere che ci sono i guariti».
Ma il procuratore Agnello predilige la pista del condizionamento sulle scelte basate proprio su quei dati: «Questi comportamenti sono stati veramente criminali, non trovo altri termini adeguati. Perché alla fine influivano su decisioni a livello centrale e regionale che dovevano invece essere frutto di una attentissima valutazione dei dati. Perché tu fornisci numeri falsi, perché di questo si tratta».
Una chiave di lettura che viene smentita dalla difesa di Razza. «I dati che servono per stabilire l’Rt e la conseguente area di rischio – argomenta l’avvocato Enrico Trantino a La Sicilia – sono quelli caricati in piattaforma dalle strutture periferiche, cioè dalle aziende provinciali. Forniscono un risultato su base settimanale in cui conta la data di prelievo, e non di referto, certificata dal laboratorio: quindi sono immodificabili». I numeri in questione sono quelli stabiliti dal Dm 30 aprile, in cui «i morti non assumono rilievo». Ci sono poi «i dati inviati giornalmente alla Protezione civile dal Dasoe: dati statistici, e non per la definizione delle aree di rischio». Solo questi ultimi , ammette Trantino, «talvolta erano oggetto di “ritocco”, e solo in quanto alcune informazioni giungevano con ritardo a Palermo».
E sulla famigerata «spalmatura», per l’avvocato «oltre agli aspetti semantici che ho capito vengono fraintesi», c’è un «paradosso», ovvero che «con quell’invito l’assessore, invece che far caricare i dati di quattro giorni solo nel bollettino delle ultime 24 ore, invitava a inviare quelli dell’ultimo giorno, differendo, lui dice “spalmando” quelli antecedenti nei successivi giorni. Per non creare allarme ingiustificato». Quello che per l’avvocato di Razza «sa di beffa» è che «se avesse caricato i dati di quattro giorni, quelli non sarebbero stati veridici, dato che il monitoraggio riguarda le 24 ore». Invece, «così, per quel 4 novembre sarebbero corrisposti ai dati reali, ma non volendo nascondere i morti dei giorni precedenti, questo numero sarebbe stato distribuito sui giorni successivi».
L’ormai ex assessore alla Salute, lunedì sera, ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere ai pm di Trapani. «Rispetto il dirotto alla difesa – commenta il procuratore Agnello – ma avrei voluto essere tranquillizzato da Razza, anche solo con un paio di battute. Ad esempio sull’ultima intercettazione con il governatore. Invece ha scelto il silenzio». Una strategia che l’avvocato Trantino giustifica semplicemente con la questione di incompetenza territoriale di Trapani, lasciando capire che, quando i pm di Palermo metteranno mano al fascicolo, Razza avrà tutto l’interesse a parlare con loro.
Nessun faccia a faccia, dunque, fra l’ex assessore e il procuratore di Trapani. «Razza mi fa umanamente simpatia, ma mi auguro – dice Agnello all’Agi – che dia un contributo di verità, soprattutto se ritiene che noi abbiamo preso una cantonata». Quella del fedelissimo di Musumeci, per il pm, «è una posizione marginale, le telefonate intercettate con Razza sono molto poche, e se fossimo stati convinti del contrario avremmo chiesto la misura cautelare anche per lui». E conclude ammettendo: «Non so se i colleghi di Palermo faranno la stessa valutazione». Ecco, si riparte proprio da qui.