Riflessioni sulla vita e sull'amore, le date degli incontri con la figlia, brani di lettere ricopiati tutti da interpretare: c'è molto materiale nell’agenda trovata la notte tra lunedì e martedì nella casa in cui il boss Matteo Messina Denaro, arrestato due giorni fa, ha trascorso l’ultimo anno della sua latitanza. L'agenda potrebbe dare spunti investigativi importanti anche se nell’appartamento di vicolo San Vito,a Campobello di Mazara, non sarebbero stati scoperti documenti esplosivi o carte compromettenti – cosa che spinge i pm a pensare che quella fosse solo l’abitazione del boss e che l’ex primula rossa di Cosa nostra avesse scelto un altro luogo per nascondere il suo leggendario «tesoro» e le cose riservate.
Il rifugio del boss, per anni in cima alla lista dei latitanti più pericolosi, è un piccolo appartamento di sessanta metri quadrati. Un soggiornino, una cucina, una camera da letto e un bagno in una palazzina di due piani a Campobello di Mazara. Viveva lì, in pieno centro abitato, Matteo Messina Denaro, arrestato lunedì in una casa di cura di Palermo in cui da un anno si recava per la chemioterapia. «L'ho comprata io per conto suo. Mi ha dato 20mila euro», ha raccontato ai pm Andrea Bonafede, il geometra di Campobello di Mazara che avrebbe prestato l’identità a Messina Denaro – trovato in possesso di una carta d’identità a lui intestata ma con la fotografia del capomafia -, ora indagato per associazione mafiosa. Interrogato dai carabinieri Bonafede ha ammesso di conoscere Messina Denaro fin da ragazzo e di aver acquistato con 20 mila euro ricevuti dal boss l’appartamento di vicolo San Vito.
Una vita ordinaria quella del superlatitante. Messina Denaro andava a fare la spesa, frequentava ristoranti, riceveva donne, sospettano gli inquirenti che stanotte, individuata l'abitazione, hanno trovato all’interno oltre a sneakers costose, profumi di lusso e occhiali Ray Ban, pillole per aumentare le prestazioni sessuali e profilattici. Amante da sempre delle belle donne, una lunga collezione di fidanzate, il padrino di Castelvetrano non avrebbe rinunciato alla compagnia femminile, sospettano gli investigatori, nemmeno durante la latitanza.
Ma come sono arrivati gli investigatori al nascondiglio in cui Messina Denaro avrebbe trascorso, pare, almeno l’ultimo anno? Tutto parte da una chiave ritrovata nel borsello del boss ieri dopo l’arresto, insieme a due telefonini ora al vaglio degli inquirenti. Attraverso il codice della chiave, gli inquirenti sono risaliti a un’Alfa Romeo 164 e grazie a un sistema di intelligenza artificiale hanno ricostruito, con tanto di immagini, gli spostamenti dell’auto. Tra le riprese c'era anche quella del boss che entrava e usciva dall’abitazione di Campobello con le borse della spesa.
Gli investigatori stanno cercando di ricostruire gli ultimi periodi della latitanza e di capire come sia stato possibile per Messina Denaro sfuggire alla cattura per un anno vivendo in uno dei paesi più controllati d’Italia. Campobello di Mazara sarebbe piena di telecamere piazzate dagli inquirenti durante le ricerche del padrino. Ce ne era una perfino nel bar a pochi metri dalla casa: e nel locale teneva i summit Francesco Luppino, vecchio boss finito in manette. Nonostante i tanti occhi piazzati per le vie del centro nessuno si sarebbe, però, mai accorto che lì viveva il superlatitante.
Pezzi importanti del puzzle sono anche altre due figure, sempre di Campobello: il medico Alfonso Tumbarello e il commerciante di olive Giovanni Luppino (solo omonimo del capomafia). Luppino era l’autista del boss, l’uomo che lo accompagnava a fare le terapie a Palermo, arrestato ieri per favoreggiamento e procurata inosservanza della pena. Domani, probabilmente comparirà davanti al gip per l’udienza di convalida. Tumbarello, storico medico di base del paese, aveva in cura il capomafia a cui prescriveva cure e farmaci intestando le ricette a Bonafede. Ma il vero geometra Bonafede, Tumbarello lo conosceva bene da anni. Anche lui era suo paziente. E allora come mai non si è insospettito per la singolare omonimia? Dovrà spiegarlo ai pm che l’hanno iscritto nel registro degli indagati.