Mentre a Palermo si spara per una volta a Catania si tira il fiato. Pur nella consapevolezza che quanto di grave registrato sabato sera nel salotto buono della città panormita sarebbe potuto accadere anche da queste parti.
Perché hai voglia a fare distinzioni basate magari su questioni calcistiche. I problemi che attanagliano Catania e Palermo sono più o meno gli stessi: il “traffico” e la “siccità” – si potrebbe dire, ricordando l’immenso “Johnny Stecchino” di Roberto Benigni – da queste parti pure l’Etna (sempre citando lo straordinario film del comico toscano), e poi la “munnizza” per strada, la mancanza di lavoro, quella del rispetto delle regole civili e, ovviamente, tutto ciò che ruota alle più svariate forme di criminalità. Quella comune e quella organizzata. Che, purtroppo, continua ad avere un certo appeal nei confronti di molti giovani, i quali preferiscono guardare a tali esempi negativi piuttosto che impegnarsi per fare rifiorire i luoghi in cui vivono.
Quanto costa studiare? E quanto produce, di contro, lavorare con una ricetrasmittente in mano, oppure stazionare in sella a un motorino, pronti a lanciare l’allarme agli spacciatori in caso di arrivo improvviso delle forze dell’ordine?
Per chi affronta realtà difficili, per chi vive nei quartieri, in special modo, non sono neanche domande da porsi. Anche perché il tempo dedicato ipoteticamente allo studio è tempo che viene sottratto ad altre attività. Più o meno remunerative. Più o meno legali. E con la situazione economica che tante famiglie sono costrette a fronteggiare è evidente che ogni “fegatino di mosca fa sostanza”.
Ecco spiegati i casi di evasione scolastica che in città sono ancorati su una cifra prossima al 24%. Dati che però, come ha spesso ricordato Claudio Fava in passato e, più di recente, il presidente del Tribunale dei Minori, Roberto Di Bella, vanno letti con attenzione. Perché ci sono quartieri più centrali in cui l’evasione si attesta su numeri infinitesimali e altri, periferici, in cui le cifre fanno assai più paura. Vicine al 50%.
Ed è da qui, da queste realtà, spesso e volentieri, che provengono i giovani che “animano” la nostra movida. Dopo una settimana costretti nel “ghetto”, il weekend rappresenta per molti di loro un “libera per tutti”, un’occasione per miscelarsi – magari – con i fighetti dei quartieri più abbienti, che non di rado frequentano le loro zone per andare ad acquistare la “bustina” per lo sballo. Possibilmente da abbinare agli “shottini” a basso costo che è facile acquistare con estrema facilità nelle zone del centro storico. Nell’area di piazza Vincenzo Bellini, innanzitutto, in quella fra via Umberto, via Etnea e via Gemmellaro, nonché in quella di piazza Federico di Svevia, là dove non molto tempo fa si è registrata l’aggressione al cantante Mario Venuti, costretto a fare i conti con un delinquente che portava a spasso il proprio cane.
Ecco, in questi casi la miscela può diventare davvero esplosiva. Perché il “libera per tutti” non viene inteso come «adesso mi rilasso per qualche ora, in attesa di riprendere con la routine del lunedì». Il “libera per tutti” equivale ad «adesso faccio i miei porci comodi, faccio vedere quanto valgo e, se posso, faccio volare pure qualche sberla». Da qui le risse, anche a colpi di casco, che si sono registrate a più riprese, in special modo quando il fenomeno è stato sottovalutato da chi era preposto a garantire la sicurezza. Le provocazioni di alcuni bambini (appositamente addestrati) ad adolescenti e poco più che maggiorenni, poi pestati dagli adulti arrivati in soccorso di chi aveva ricevuto qualche risposta poco elegante da parte dello sprovveduto di turno. Gli spintoni a chi andava in pista ciclabile con il monopattino. Le botte per una precedenza non dovuta e per questo non data.
Tralasciamo le risse in discoteca, che spesso nascondono altre finalità. Prevalentemente estorsive. Ma la “movida” a Catania ha riservato pure questo. Con tanto si sparatorie che non ci fanno essere, semmai l’avessimo pensato, diversi da chi sta dall’altra parte dell’Isola.