Calafiore è ossessionato dal timore di essere intercettato. Il 12 maggio 2017 riceve un messaggio dal suo operatore telefonico: un link per un semplice aggiornamento. Ma l’avvocato teme che sia un troian usato dagli investigatori per controllare il suo cellulare. E quando lo chiama “Giulia di Vodafone”, Calafiore è pittosto brusco: «Lo so… lo so… ma io sono, signorina… ho un vizio… Non faccio aggiornamenti… quindi sono uno… sono uno strano… Io butto i telefoni ho la fissazione ha capito? Sono uno fissato… non mi chiami più perché io aggiornamenti non ne faccio… buona giornata».
Nella chat segreta di “Escobar” e “Peter Pan” c’è almeno un altro componente su cui si sofferma l’attenzione delle fiamme gialle: “Minchia69”. Si tratta di Luigi Caruso, ex giudice della Corte dei conti, oggi in pensione, non indagato nell’inchiesta. Caruso, catanese d’origine, condannato nel 2011 a tre anni per corruzione e poi prosciolto l’anno successivo in appello perché il reato era andato in prescrizione, nell’informativa è definito in rapporti di «assidua frequentazione» con Amara. L’ex magistrato contabile, nella ricostruzione del Gico, viene avvertito dall’avvocato siracusano di essere sotto intercettazione. La stessa soffiata arriva a Raffaele De Lipsis, ex presidente del Cga siciliano, non indagato per questi fatti, ma coinvolto nella “traghettopoli” di Morace. Ma lui è scettico: «Vabbè, tanto bisogna vedere quanto sia vero», dice al giudice Caruso. Che è tranchant: «Lo ha detto Piero (Amara, ndr)…».
De Lipsis viene criticato ferocemente da Caruso (il quale, invece, quando va nello studio romano di Amara lascia il cellulare al suo autista, perché «non voglio rischiare») per la sua condotta: «Quello (De Lipsis, ndr) è cretino… Continua a parlare sempre. Ogni volta glielo spiego ma nulla». E invece Caruso è molto accorto anche quando deve comunicare notizie delicate. I militari della guardia di finanza seguono i suoi movimenti, quando incontra un altro ex giudice catanese: Luigi Passanisi, già presidente dei Tar Calabria e Marche. I due, oltre alle origini siciliane, condividono anche il coinvolgimento nell’inchiesta “Mozart” sulla corruzione in cui finì l’ex deputato di Forza Italia, Alberto Matacena: la posizione di Caruso fu archiviata in sede di indagini preliminari; Passanisi fu condannato a tre anni e sei mesi in appello, sentenza annullata in Cassazione per prescrizione del reato. Il 5 aprile 2016 Passanisi è alla guida dell’auto di Caruso, a Roma. In loro compagnia le cimici della Finanza.
Arrivano in via Puglie, all’indirizzo dello studio Amara. Caruso sale per un «presumibile appuntamento»; Passanisi resta in auto. Alle 19,57 si ricongiungono. «Vai sempre dritto fino a quando non c’è un posto tranquillo», suggerisce Caruso. Si fermano in via Sallustiana. «Esci dalla macchina…», è l’ulteriore indicazione. Ma, «nonostante tale accorgimento», i finanzieri colgono «alcuni tratti delle informazioni riservate» che Caruso dà a Passanisi. La frase-chiave: «Sei controllato però… Statti calmo, dice (Amara?, ndr) che hanno messo la tua casa sotto controllo. Telefoni e macchine…».
Il prestigioso studio di via Puglie 23 apre un altro link. A questo indirizzo, scrive il Gico della guardia di finanza di Roma, viene rinvenuta «carta intestata dello studio Amara dalla quale risulta che l’avvocato Toscano faceva parte dello studio Amara». Si parla di Attilio Toscano, noto avvocato catanese, non indagato. Definito «in consolidati rapporti» con l’avvocato arrestato, Toscano era già stato citato in un’interrogazione presentata da Francesco Ferrante (Pd) nel 2011 al ministro della Giustizia. Nel testo, oltre a nomi e circostanze che adesso si ritrovano nell’inchiesta esplosa in questi giorni, si faceva un esplicito riferimento alla Gi.Da Srl, «che ha come amministratore delegato tale Carlo Lena e come soci Sebastiana Bona, Attilio Luigi Maria Toscano ed Edmondo Rossi».
Lena, ritenuto prestanome di Amara, è indagato nell’inchiesta di Roma; Bona è la moglie di Amara; il deputato Ferrante sottolineava i rapporti di parentela di Toscano (figlio di Giuseppe, ex procuratore aggiunto a Siracusa e a Catania) e di Rossi (figlio di Ugo, ex procuratore di Siracusa, condannato per abuso d’ufficio nel processo sui veleni in procura). Toscano, scriveva il deputato, «oltre ad essere socio della Gi.da. Srl, è un avvocato che in molti procedimenti affianca l’avvocato Amara, quali ad esempio le vicende di Siracusa che riguardano Open Land e la Sai8». Quest’ultima società, ex gestore del servizio idrico a Siracusa, è fallita. Nel processo per bancarotta ricorrono nomi e parcelle di Amara e Toscano: 1.216.810 e 154.544 euro per il primo, 1.009.267 e 175.828 euro per il secondo. Su Sai8 il deputato Ferrante aggiungeva: «L’ingegner Torrisi, che è il figlio dell’attuale terza moglie del procuratore di Siracusa Ugo Rossi era stato nominato direttore tecnico della Sai8 poco dopo la nomina del marito della madre a procuratore di Siracusa; inoltre lo stesso ingegner Torrisi è legato da rapporti di fiducia col sostituto procuratore Maurizio Musco (oggi indagato nell’inchiesta di Messina, ndr) in quanto nominato come consulente in alcuni procedimenti penali relativi a reati ambientali».
Un’altra curiosità emerge dalle carte: fu proprio l’ex procuratore Rossi (si legge in una memoria difensiva dell’ex pm di Siracusa arrestato) a presentare Longo a Fabrizio Centofanti, l’imprenditore arrestato che – secondo i pm – pagò il capodanno a Dubai alla cricca.
Ma torniamo alle società del “mondo Amara”. Il 22 dicembre 2011 (il giorno successivo all’interrogazione parlamentare) Toscano, così come Rossi Jr., escono dalla Gi.Da.: cedono le loro quote, davanti al notaio Giambattista Coltraro (indagato), alla stessa Bona e a Calafiore, l’altro avvocato arrestato. Si chiude il rapporto societario, ma continua quello professionale con Toscano. «Conosco Attilio dai tempi dell’università e lo ritengo uno dei migliori amministrativisti d’Italia. Spesso mi rivolgo a lui: lavoriamo insieme e siamo colleghi da tanto tempo», rispondeva Amara al mensile S. Ma il nome di Toscano, non inserito fra gli indagati, ricorre anche nella parte dell’informativa che riguarda l’ipotesi di frode fiscale delle società di Amara. Il riferimento è al rapporto la Jaed Immobiliare Srl (riconducibile dell’altro arrestato Centofanti). Il Gico della Gdf annota che le fatture «pari ad un totale di 387.572,50 risultino palesemente caratterizzati da elementi di sovrafatturazione qualitativa connessa alla maggiorazione degli importi richiesti in pagamento ai suddetti professionisti (Amara e Toscano) in relazione ai lavori eseguiti presso il suddetto immobile».
E infine, fra le tante citazioni dell’amministrativista catanese, c’è un passaggio su un’altra società del “mondo Centofanti”: «La condotta consistente nell’emissione da parte della Faust Immobiliare Srl delle fatture (…) nei confronti dei professionisti Amara Piero e Toscano Attilio Luigi Maria relative all’annualità 2012 ritenute relative ad operazioni inesistenti ed utilizzate sicuramente da Amara Piero al fine di evadere le imposte».
Twitter: @MarioBarresi