Cuffaro torna a Raffadali: “Fare politica? No, ma se qualcuno vorrà un consiglio…”

Di Redazione / 14 Dicembre 2015

Prima notte da uomo libero per Salvatore Cuffaro, l’ex Presidente della Regione siciliana, che ieri ha lasciato il carcere dopo quasi cinque anni di detenzione. Cuffaro sta per raggiungere l’anziana madre che abita a Raffadali, nell’Agrigentino.

Cuffaro – in una intervista all’Adnkronos – ha anche annunciato che non farà più politica in futuro: “La politica attiva, elettorale e dei partiti è un ricordo bellissimo che non farà parte della mia nuova vita. Ora ho altre priorità”, ha detto l’ex governatore della Sicilia confermando di volere fare volontariato nel Burundi. Anche se successivamente ha aggiunto: “Resto profondamente democristiano, uno moderato che ama le cose semplici, che ha la cultura dei valori della vita. Se posso portare un piccolissimo contributo di consigli a quelli che vorranno ricostruire quest’area, allora sì, c’è la mia disponibilità. Deluderò molti miei amici, ma non tornerò a fare politica attiva – dice – Confesso, però, che mi fa piacere sentire dire che la gente vorrebbe che io tornassi a fare politica. Soprattutto perché pensa che non tutte le cose che ho fatto sono state sbagliate o forse perché le persone hanno riconosciuto il tratto umano. Molti pensano che il mio ritorno potrebbe essere utile alla Sicilia”.

“Pochi politici, pochi rappresentanti pubblici e poca stampa mi hanno difeso – in una lettera scritta durante l’ultima notte trascorsa nel carcere romano di Rebibbia – la gran parte, seppur credendo che io non abbia mai favorito la mafia anzi la abbia avversata, non lo hanno fatto, potevano farlo e avrebbero dovuto ma hanno avuto paura di essere catalogati…additati. Li capisco e li giustifico ma io non mi sarei comportato così”. Cuffaro dice di essere stato in carcere “per un tempo infinito ma non per sempre” e sottolinea di “aver vinto il carcere” grazie al senso delle istituzioni, il rispetto per la giustizia e soprattutto la fede”. Fondamentale anche la decisione di scrivere “del luogo chiuso e dell’inumano domicilio (il carcere ndr) per essere utile a chi è rimasto”. Adesso, dice, ” sento dentro forte dentro di me una voce che mi dice: l’essere sopravvissuto non è una colpa, tornare a vivere non è una colpa, è una colpa dimenticare quello che si è vissuto, è una colpa più grande dimenticare quelli che ancora vivono il luogo malvagio e quelli che il luogo ha ucciso. Mi impegnerò perché possano migliore le condizioni di vita dei detenuti”.

LE LETTERE. “Non posso più deludere la mia coscienza e la mia famiglia che non posso più trascurare. E poi confesso che in questi cinque anni ho visto un allontanamento dalla politica che non ho più riconosciuto. Ho ricevuto 14 mila lettere da tutta Italia che mi hanno fatto piangere. Finché mi scrivono i miei amici lo capisco, ma mi hanno scritto persone che non erano miei ‘clientes’, come dicono alcuni, ho capito che c’era tanta gente che mi voleva bene e questo mi fa bene”.

LA MADRE. “Sto andando da mia madre a prendermi e a darle l’abbraccio che mi è stato negato da un giudice di sorveglianza. Mia madre mi riconosce, certo le sue condizioni di salute sono precarie, ma mi parla al telefono. È stato vergognoso negarmi questo abbraccio”. Il riferimento è al giudice di sorveglianza che aveva negato a Cuffaro la possibilità di raggiungere la madre affetta da Alzheimer. “Però dire che l’incontro sarebbe stato ‘svuotato di ogni significatò perché non potrei avere una “relazione condivisa con mia madre” è stato vergognoso. Se si pensa che Foscolo immaginava una corresponsione dei sensi tra i morti e i vivi, questo giudice invece ritiene che io non potessi averla con mia madre. Se c’è una sentenza che mi ha davvero fatto male è stata la sentenza su mia madre”.

LA PRIMA NOTTE LIBERO. E sulla prima notte a casa sua dice: “Non è stata una notte di sonno, ho continuato a rimanere sveglio come ho fatto in tutti questi anni di carcere. Con una emozione indescrivibile perché tornare a casa e rientrare nel mio studio che mia moglie aveva chiuso il giorno in cui sono andato via e ritrovare persino i fogli che avevo lasciato lì cinque anni fa è stata una emozione incredibile. Ma non ho riconosciuto la mia casa – aggiunge commosso – Il carcere, che non è un posto normale, ti toglie tante cose, anche il ricordo delle cose più belle. E forse ci riesce, perché se tornando a casa non Ho ritrovato parti importanti della mia vita mi ha fatto capire che il carcere è riuscito a prevalere su alcune cose. Ma ora posso tornare a respirare la vita nella sua pienezza e a tornare alla mia famiglia”. 

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