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Crocetta a Vittoria: «Sfido Cosa Nostra e Stidda che vogliono soffocare l’economia»

Di Tony Zermo |

Che significa la presenza del presidente della Regione a Vittoria, dove esiste il più grande mercato ortofrutticolo siciliano devastato dagli incendi dolosi?

«E’ una sfida alla consorteria che vuole controllare il mercato dell’agroalimentare e che unisce Cosa Nostra e Stidda, con agganci con la camorra e la ‘ndrangheta. Anche la vicenda di Fondi (il maggiore centro del mercato agroalimentare del Paese, ndr) con le sue infiltrazioni mafiose è un risvolto di quel che succede a Vittoria da qualche tempo a questa parte. E’ un meccanismo pazzesco. La mafia pretende di controllare tutto, le intermediazioni, i trasporti. Impone i prezzi agli autotrasportatori. Presta anche soldi ai produttori, ma poi quando il prodotto è maturo chiede di prendere in consegna la produzione per venderla a chi vuole e al prezzo che vuole. E per il produttore che ha sulle spalle quel debito riesce difficile ribellarsi. Questa è una terra ricca, i suoi primaticci si vendono in tutta Europa, dovrebbe creare benessere e lavoro per la popolazione e invece i guadagni vanno ai mafiosi. Con questo sistema niente può reggere, ecco perché i produttori, quelli che posseggono la terra e la lavorano, debbono ribellarsi, così come debbono fare anche gli autotrasportatori. Lo Stato e la Regione saranno vicini perché la mafia di Vittoria e di tutto questo comprensorio deve essere debellata. Qualcuno ricorderà i cadaveri dentro il bar di qualche anno fa. E’ una mafia che aveva un forte collegamento con il boss gelese Emmanuello (Crocetta da sindaco di Gela licenziò la moglie del boss, ndr) e con il clan di Rinzivillo. Solo che nel passato c’è stata una reazione, mentre oggi ci troviamo purtroppo di fronte ad una ripresa delle attività criminali della mafia in un zona dove a denunciare sono pochi coraggiosi. Sono cambiati anche i sistemi mafiosi: non chiedono più il pizzo alle imprese, ma hanno costituito loro delle imprese mafiose che fanno concorrenza e taglieggiano per ragioni di concorrenza. Ad esempio, l’autotrasportatore deve fare i prezzi imposti dai clan, e non inferiori, altrimenti gli bruciano il mezzo. In pratica i clan stanno distruggendo la libertà economica di un territorio. Creano un clima di terrore per cui le persone oneste non riescono più a lavorare. E’ per questo che bisogna ridare fiducia alla gente».

Ma c’è ancora la Stidda? E non era contrapposta a Cosa Nostra? Che è successo dopo gli anni 80-90?

«La Stidda è da tempo in simbiosi con Cosa Nostra. Chi fece il capolavoro fu Emmanuello, che negli anni 90 smise la guerra contro la Stidda e da allora sono insieme a spartirsi il territorio. Questo ha portato apparentemente ad una situazione di tranquillità, ma nel frattempo hanno messo piede in modo camaleontico nel settore dei commerci e soprattutto sui mercati dell’ortofrutta, che per l’economia siciliana è un settore fondamentale di crescita. La mafia per anni è stata insidiosa, sottile, ha cercato di mimetizzarsi, e intanto ha preso piede. Falcone nell’intervista a Marcelle Padovani dice: “Lei non deve pensare che la mafia è più forte quando fa violenza. La mafia per fare i propri affari ha bisogno di tranquillità in modo da evitare l’intervento dello Stato”. E cita proprio il caso di Gela con centinaia di morti: lì non vuol dire che la mafia è più forte, ma significa che si stanno contendendo il territorio. Oggi siamo in un nuovo sistema in cui questi clan non litigano più, hanno apparentemente creato un ordine. Il loro obiettivo non è più una guerra tra di loro, ma il controllo dei commerci, persino degli imballaggi, creando un’economia drogata».

Diciamo che lo Stato ha abbassato la guardia come ai tempi di quando lo denunciarono Falcone e Borsellino?

«La mafia si è insinuata nel silenzio. Però poi quando vediamo la battaglia di Ciccio Calanna sui Nebrodi, la riconquista di quei terreni della riforma agraria che erano stati rubati, la battaglia di Antoci per la salvaguardia del Parco e la decadenza delle concessioni ai mafiosi, quando vengono individuati i veterinari che immettono sul mercato bestiame malato, allora vediamo che lo Stato è presente, nonostante una montagna di storture da correggere. C’è poi un sistema pericoloso, quello del cavallo di ritorno: rubano i mezzi alle imprese e poi si mettono di mezzo degli “amici” e li restituiscono a un certo prezzo. Lo fanno da anni, vedi quel che è accaduto ad Agrigento dove un’azienda con 70 dipendenti ha corso il rischio di chiudere dopo il furto dei mezzi. In questo caso abbiamo un imprenditore che reagisce, ma in altri casi pagano per riavere i mezzi rubati».

Il triangolo Gela-Vittoria-Niscemi è ad alto rischio.

«Anche l’Agrigentino e il Trapanese non scherzano. Spesso è una mafia senza mafiosi, perché impostata solo a fare affari “legali”, con riciclaggio, con una concorrenza basata sulla capacità finanziaria che hanno le mafie. Non bisogna dimenticare che dietro questi colletti bianchi che operano direttamente nell’economia – perché oggi anche i figli dei mafiosi non sono più come una volta, oggi vanno all’Università, diventano avvocato, finanzieri, commercialisti, eccetera -, però non dobbiamo mai dimenticare che questi colletti bianchi apparentemente innocui, hanno sempre dietro le spalle un Kalashnikov pronto a sparare in caso di loro necessità».

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