L'INTERVISTA
Corradino: «ll Codice degli appalti? Sì a modifiche ma senza rottamarlo»
Michele Corradino, consigliere Anac, cos’ha questo Codice degli appalti che non va?
«La credo che il Codice degli appalti meriti una riflessione. C’è un dato da cui partire, al di là delle polemiche da campagna elettorale. C’è da chiedersi cos’è successo a distanza di due anni dall’entrata in vigore. È inutile negare che abbiamo assistito a una profonda crisi del sistema: un crollo degli appalti con cifre preoccupanti e inaccettabili, circa l’80%. Oggi s’inizia a vedere la luce: c’è una ripresa importante. Il settore delle forniture, nel 2017, è aumentato del 60% con un più 45% rispetto all’anno precedente al codice. E i servizi crescono del 26%».
Ma i lavori pubblici arrancano….
«Registrano un incremento del 12% nello scorso anno, ma sono indietro del 16% rispetto a prima del Codice. Oggettivamente gli appalti delle opere pubbliche stentano a ripartire».
Perché? Evidentemente il Codice degli appalti non ha funzionato….
«Ci sono stati degli errori. Il primo è che il Codice fu introdotto all’improvviso, da un giorno all’altro, senza dare il tempo di capirlo e metabolizzarlo. È mancata un’attività di formazione delle amministrazioni. Questa ormai è storia, non possiamo farci niente».
Solo una questione di formazione?
«No. Poi c’è la questione della mancata applicazione integrale del Codice. Uno dei pilastri essenziali era la qualificazione delle stazioni appaltanti. Per determinati tipi di appalto è necessario avere competenza tecnica e organizzazione adeguata. Non a caso era previsto un albo, tenuto dall’Anac, delle amministrazioni con determinati requisiti. Ma questo passaggio, per il quale era previsto un decreto, non è stato realizzato. Noi abbiamo un Codice complesso, “difficile”, consegnato nelle mani di 36mila stazioni appaltanti, spesso piccolissime e senza mezzi adeguati. La qualificazione è una questione decisiva: se con il decreto del governo si individueranno i requisiti, di complessità degli appalti e capacità amministrativa, si potrà investire su riqualificazione del personale e assunzione di nuove figure professionali».
Formazione e qualificazione, dice lei. Ma la parola invocata da tutti è un’altra: semplificazione.
«Questa è la vera grande sfida. Oggi cedere alla tentazione di abolire il Codice degli appalti per ricostruirne uno nuovo sarebbe una scelta davvero scellerata. Però credo che si debba intervenire su alcuni istituti importanti del Codice».
Ecco, su cosa si può intervenire?
«Ad esempio sul massimo ribasso, vietato in nome dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Una scelta effettuata per privilegiare la qualità, ma che le amministrazioni sostengono faccia perdere molto tempo. Allora io dico: si possono recuperare spazi per il massimo ribasso in appalti più semplici. Come quando un sindaco deve asfaltare una strada… Oppure il recupero, in certe aree, dell’appalto integrato. Col Codice abbiamo costretto le amministrazioni a realizzare la progettazione esecutiva. Ma ci sono casi in cui si può dare la possibilità di appaltare anche il progetto».
Un Codice degli appalti più a misura d’appalto….
«Proprio così. Noi possiamo provare a perimetrare l’area di applicazione del Codice. Abbiamo concepito uno strumento per i grandissimi appalti, ma in realtà c’è una serie di gare che, per minore quantità di importo o per semplicità di capitolato, devono avere una normativa più snella».
Anche gli appalti sotto soglia?
«Sì, ma lo deve dire la legge. Che, in questo senso, è ancora ambigua. Nel Codice troviamo una tendenza alla liberalizzazione e un’altra al restringimento. Anche qui c’è l’esigenza di ulteriore semplificazione per appalti piccoli, semplici e ripetitivi».
E le famigerate linee-guida?
«Noi le abbiamo quasi completate: nove su dieci. Il governo ora deve farne altre. Io non le demonizzo. Sono uno strumento moderno, nascono dal confronto con amministrazioni e associazioni di categoria. Ma possiamo riflettere se ci sono delle aree degli appalti in cui le linee-guida non sono lo strumento migliore. E cito il tema classico delle incompiute: sono opere appaltate prima del nuovo Codice, bloccate nella fase dell’esecuzione. E lì forse alcuni pezzi del vecchio regolamento, che gli operatori ci dicono che stavano funzionando, possono essere ripresi con interventi mirati. Ma la semplificazione non è l’unica priorità per sbloccare gli appalti».
Di cos’altro c’è bisogno?
«Questo codice è stato concepito per dare la possibilità alle amministrazioni di dialogare con le imprese. Cosa che fino a due anni fa era vietata, se non addirittura penalmente perseguibile. Ora questa flessibilità deve diventare un’opportunità, come nel resto dell’Europa. Sono stato invitato dall’Ordine degli avvocati di Parigi per spiegare perché in Italia il partenariato pubblico-privato non funziona…».
Cos’ha detto agli avvocati parigini?
«Che non funziona per colpa della paura».
Paura di chi? Di cosa?
«Noi possiamo fare tutte le semplificazioni del Codice che vogliamo, ma tutto è inutile se non aiutiamo i nostri amministratori a liberarsi dalla paura di sbagliare. Che è il motivo per cui spesso tutto si ferma. Chi amministra ha, giustamente, timore delle responsabilità contabili e penali. Dobbiamo dare gli strumenti normativi affinché si ribalti la prospettiva: chi fa dev’essere premiato rispetto a chi non fa per paura di sbagliare».
Ci sono le condizioni politiche per semplificare il Codice degli appalti?
«Ho partecipato, assieme al presidente Cantone, ad alcuni incontri al ministero delle Infrastrutture per ipotizzare gli spazi di modifica del Codice. Ce lo chiedono le amministrazioni e le imprese. E penso che ci siano tutte le condizioni politiche per farlo».
Cantone, finora osannato come supereroe anticorruzione, sembra oggi essere messo in discussione, così come la stessa Anac, nell’era del governo grillo-leghista.
«Non è così. Io sono testimone che i rapporti col governo sono ottimi. Col premier e con alcuni ministri ci sono stati degli incontri pacati e in un’ottica di collaborazione istituzionale e in un clima sereno».
Conte, nel discorso della fiducia alla Camera, vi liquidò con freddezza….
«Il presidente Cantone e il premier Conte hanno chiarito quell’episodio in una lunga telefonata, a cui è seguito anche un incontro: s’è trattato di un equivoco. Il problema è un altro. Non si possono dare all’Anac compiti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge: trasparenza, appalti e prevenzione della corruzione. Una serie di attività gestionali, come ad esempio l’individuazione delle società in house attribuite all’Anac dal Codice degli appalti, hanno profili politici tali da non essere in linea con il ruolo di terzietà dell’Anticorruzione. E di questo sì che si può discutere. Anzi: si deve».
Twitter: @MarioBarresi
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