Beni del valore di circa due milioni di euro sono stati confiscati dalla polizia di Palermo a Gaetano Fontana, 45 anni, ritenuto dagli investigatori esponente della famiglia mafiosa dell’Acquasanta. Il patrimonio confiscato, già oggetto dei provvedimenti di sequestro eseguiti sempre dalla polizia nel marzo e nel giugno del 2019, è composto da tre beni immobili a Milano, sei rapporti finanziari ammontanti complessivamente a circa 50.000 euro e un’impresa commerciale attiva nel settore della gioielleria, con sede a Milano nel cosiddetto "quadrilatero della moda", formalmente intestata alla convivente, ma di fatto riconducibile a Fontana.
Oggetto della confisca è anche il complesso aziendale della società: numerosi orologi di lusso, gioielli (orecchini, collane, bracciali e anelli in materiali e pietre preziosi), gemme sfuse, alcuni dei quali ritrovati a seguito delle operazioni di perquisizione e sequestro eseguite dai finanzieri di Palermo nelle abitazioni dello stesso Fontana e del fratello e la sorella Angelo e Rita, nell’ambito dell’operazione denominata "Coffee Break" nel maggio 2019.
Il provvedimento di confisca è stato notificato in carcere a Fontana, attualmente detenuto per mafia per avere diretto e organizzato con ruolo apicale la famiglia mafiosa dell’Acquasanta e per reati relativi al trasferimento fraudolento di valori e per diverse ipotesi di intestazione fittizia di beni. Gaetano Fontana è figlio di Stefano, 66 anni, morto nel settembre 2013, reggente della famiglia mafiosa Arenella-Acquasanta e condannato in via definitiva per mafia.
Stefano era legato da rapporti di parentela anche con Vincenzo Galatolo, 77 anni, quest’ultimo reggente della famiglia mafiosa del quartiere "Acquasanta" di Palermo, condannato all’ergastolo per l’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Sulla base dell’acclarata pericolosità sociale, qualificata dall’appartenenza al sodalizio mafioso Cosa Nostra – sottolineano gli investigatori – sono stati svolti dalla Questura di Palermo articolati accertamenti patrimoniali nei confronti del nucleo familiare di Gaetano Fontana che hanno permesso di evidenziare una notevole sproporzione economica tra i redditi dichiarati, ben inferiori alle ordinarie spese di mantenimento di una famiglia e gli investimenti patrimoniali fatti, invece, per l’acquisto dei beni oggetto della confisca.
Alla luce degli accertamenti è stato possibile dimostrare come i beni, sebbene fittiziamente intestati alla sua convivente fossero in realtà riconducibili a Gaetano Fontana e potessero evidentemente ritenersi frutto del reimpiego delle ricchezze illecitamente accumulate, derivanti dall’attività delittuosa svolta in qualità di appartenente a Cosa Nostra.