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Cocaina all’Ars e autoblu, quelle autorizzazioni che non “quadrano” e Galvagno ordina una indagine interna

A rischio sono soprattutto gli autisti: in servizio appena in quattro (ben pagati) e così scatta il “servizio esterno” a 25 euro l’ora h24

Di Mario Barresi |

Che alcune auto blu dell’Ars siano state usate come “pony express” per andare a prendere (e per far entrare a Palazzo dei Normanni) delle dosi di cocaina sembra un fatto assodato. Fra oggi e domani Gaetano Galvagno istituirà una commissione d’inchiesta interna. Per ricostruire – al di là della finalità, oggetto di indagine penale, legata allo spaccio di droga nella Palermo bene – come e perché alcune auto di servizio dell’Ars sono state usate in modo piuttosto “allegro”. E così, in parallelo all’altro fascicolo aperto dalla Procura di Palermo con l’ipotesi di peculato (la guardia di finanza ha acquisito l’ultimo regolamento sull’utilizzo dei mezzi di servizio assegnate ai vertici dell’Ars), adesso si cercherà di ricostruire i passaggi più oscuri della vicenda.

Sul tavolo della commissione voluta da Galvagno innanzitutto il giallo della Stelvio. Del quale, nelle ultime ore, sono meno nebulosi alcuni contorni. A partire dall’ultimo caso emerse dalle carte dell’inchiesta di Palermo. La “visita”, lo scorso 9 febbraio, di un’auto di servizio dell’Ars – quella assegnata al deputato questore Nello Dipasquale del Pd – a Villa Zito, quartier generale dello spaccio gestito dallo chef Mario Di Ferro, chef della Palermo bene arrestato dalla polizia. Per stessa ammissione dell’autista, Stefano Sucato, che s’è spontaneamente presentato ai pm palermitani dopo aver visto la foto, tratta dall’ordinanza del gip, su alcuni siti.

A bordo, come “passeggero”, c’era Giancarlo Migliorisi (all’epoca capo della segreteria particolare del presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno) che entrò ed uscì nell’arco di poco più di cinque minuti. Portando con sé, secondo la ricostruzione dei magistrati, tre dosi di cocaina. Droga che, con tutta probabilità, entrò a Palazzo dei Normanni, proprio quand’era in corso una seduta-fiume sull’approvazione della finanziaria regionale. Uno dei compiti di investigatori e pm sarà anche quello di capire a chi era destinata, ma l’inchiesta interna disposta da Galvagno dovrà ricostruire come e perché Migliorisi è salito su quel mezzo, a prescindere dallo scopo finale. L’autista, ai magistrati, avrebbe parlato dell’«autorizzazione di un deputato». Ma il regolamento, svelato ieri da La Sicilia, parla chiaro. Ad avere la disponibilità del mezzo di servizio con autista, all’Ars, sono soltanto in sei: il presidente, i due vice e i tre componenti del Collegio dei questori. Dunque: se sulla Stelvio ci fosse stato Dipasquale, si sarebbe potuta muovere in autonomia. Con l’unica incombenza, come per ogni utilizzo di servizio, di indicare il punto di partenza e quello di arrivo, senza specificare il percorso.

Ma essendoci Migliorisi la cosa cambia: qualcuno doveva autorizzarlo. E per il regolamento non doveva essere Dipasquale a farlo, ma Galvagno. Entrambi, ovviamente, negano di aver dato qualsiasi “via libera” allo spostamento. E dunque, al netto di ciò che ha raccontato l’autista ai pm, a rischiare di più – sotto il profilo penale e disciplinare – sono proprio il dipendente e l’ex componente dello staff della Presidenza, transitato al gruppo di Forza Italia dopo il blitz a Villa Zito.

Eppure di auto galeotta ce n’è un’altra nelle carte dell’inchiesta. Quella assegnata a Gianfranco Miccichè. Che, al di là degli aspetti morali della vicenda, è libero di andare dove vuole per «esigenze di rappresentanza». Ma l’autista assegnato all’ex presidente dell’Ars, talvolta a bordo dell’auto di servizio, viene immortalato dalle telecamere più volte. Dunque, oltre alla foto dell’ex leader di Forza Italia all’uscita di Villa Zito diventata il simbolo mediatico dell’inchiesta, ci sono altre immagini significative. Come quella del 1° aprile, giorno del compleanno di Miccichè, in cui il suo autista Maurizio Messina, dipendente dell’Ars, entra nel locale con l’auto blu. Secondo la tesi dei pm per prendere la cocaina e poi «recapitarla» al politico. Magari a sua insaputa. Ma con quale autorizzazione allo spostamento?

Così alla fine, dal punto di vista giudiziario tanto quanto da quello disciplinare, a rischiare di più sono i poveri autisti. Che poi tanto poveri non sono: 4.700 euro di stipendio da assistenti parlamentari più un’indennità di guida di circa 1.700 euro al mese. In servizio, all’Ars, ce ne sono ben pochi: quattro, di cui uno in questo momento esentato per ragioni di salute. Tant’è che è «molto frequente», come ammettono dalla Presidenza, l’utilizzo di personale esterno per guidare una delle otto vetture a disposizione. Il servizio è affidato alla Metrolpol, un’agenzia di sicurezza leader nel settore, al costo di 25 euro l’ora h24 soltanto per fornire l’autista (che viene pagato circa 5 euro l’ora). Ciò significa che, come è avvenuto in molti casi, che se un vertice dell’Ars accreditato all’uso dell’auto blu deve ad esempio tornare a casa, magari a 200 chilometri di distanza, di sera dopo una seduta, per ritornare a Palermo l’indomani, il “tassametro” scorre inesorabile per centinaia di euro, a cui talvolta bisogna aggiungere il costo di vitto e alloggio per l’autista. Anche questo, senza eccedere nei populismi beceri, è un altro elemento di riflessione in un momento in cui le opposizioni propongono di rivedere il regolamento sull’utilizzo dei mezzi di rappresentanza. Economicità, efficacia, trasparenza nei criteri d’uso (non è inusuale vedere sfrecciare sulle strade di Palermo le auto blu con a bordo soltanto i componenti dello staff dei legittimi assegnatari), rigore con chi viola le regole. Questi potrebbero essere i sani principi da cui partire. In attesa che magari l’inchiesta di Palermo sveli a chi erano destinati – oltre al solito noto – quelle consegne dei “rider” col lampeggiante che rientravano dentro il Palazzo.Twitter: @MarioBarresiCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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