Claudio Martelli: io e Scotti rimossiperchè personaggi scomodi
Claudio Martelli: io e Scotti rimossi perchè personaggi scomodi
Secondo l'ex Guardasigilli, sentito come teste, c'era una chiara intenzione politica di punire l'azione antimafia sua e dell'ex ministro dell'Interno durante il turbolento 1992
PALERMO – Erano personaggi scomodi Claudio Martelli e Vincenzo Scotti, ministri della Giustizia e dell’Interno nella prima metà del turbolento 1992. Per questo furono «rimossi» da quei dicasteri. E’ questa la versione di Martelli, ribadita anche oggi al processo sulla trattativa Stato-mafia. «Io e Scotti fummo rimossi perché avevamo esagerato», ha detto l’ex Guardasigilli. Secondo il teste c’era una chiara intenzione politica di punire l’azione antimafia sua e di Scotti: lo scioglimento di diversi Comuni, la legislazione antiracket, quella sui pentiti.
Il particolare confermerebbe i sospetti dei magistrati che vedono al cambio al vertice del Viminale non una semplice decisione politica ma un segnale lanciato dallo Stato a Cosa nostra. Una versione in conflitto con quella fornita dal presidente del Consiglio dell’epoca, Giuliano Amato, che in commissione Antimafia ha più volte spiegato che «non ci sono state pressioni sulla scelta dei ministri del mio Governo». «Lo so quello che ha detto Amato – ha spiegato Martelli – Prima i nostri rapporti erano ottimi, adesso non è più così».
Una storia di mafia e complotti quella raccontata da Martelli ai giudici della Corte d’assise che processa uomini di Cosa nostra, politici e carabinieri per quel presunto patto per fermare le stragi. Questo, secondo quanto ha detto l’ex ministro, era l’intento del Ros che, attraverso il capitano Giuseppe De Donno, contattò il capo degli Affari penali, Liliana Ferraro a fine giugno 1992.
«L’ufficiale le aveva riferito – ha sottolineato – di avere preso contatti con il figlio di Ciancimino, Massimo, con lo scopo di incontrare il padre ‘per fermare le stragì. Ferraro mi disse anche che De Donno cercava una “copertura politica” a questi contatti. Io mi adirai perché trovavo una sorta di volontà di insubordinazione nella condotta dei carabinieri». Di questa autonomia del Ros, Martelli ne parlò anche con Nicola Mancino, successore di Scotti agli Interni. «Il 4 luglio mi incontrai con Mancino – ha spiegato – e gli parlai anche di questo comportamento del Ros. Gli parlai anche della conversione in legge del decreto dell’8 giugno (quello sul 41 bis) e delle difficoltà che si incontravano. Lui mi disse ‘dammi tempo di leggere le cartè». Dal canto suo, Mancino ha sempre negato di avere mai saputo dall’ex Guardasigilli che una trattativa o qualcosa di simile fosse in atto dopo l’attentato a Falcone.
La revoca di oltre trecento 41 bis, voluta dal suo successore Giovanni Conso, è l’atto che fece capire a Martelli che tutto era cambiato in pochi mesi. «Dopo che me ne andai dal ministero della Giustizia – ha detto rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Vittorio Teresi – la strategia antimafia che era stata impostata è stata sostanzialmente abbandonata nei suoi presupposti. Ho visto giorno dopo giorno smantellare una serie di iniziative, di atti che erano stati messi in campo che avevano dimostrato la loro efficacia tanto da portare all’arresto di Riina». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA