Catania, sulle tracce della bisca clandestina della mafia: è gestita da 4 “famiglie”

Di Laura Distefano / 28 Dicembre 2022

Una bisca gestita da tutte le famiglie mafiose di Catania: Santapaola, Mazzei, Cappello e Cursoti Milanesi. Purtroppo non si conosce la sua location precisa, anche se da qualche intercettazione sembrerebbe trovarsi in qualche zona di Misterbianco. 

La “casa da gioco”,  che servirebbe a guadagnare i soldi per i detenuti,  salta fuori da un summit “captato” dai poliziotti  nel corso  dell’operazione Zeus che qualche settimana fa ha sferrato un colpo alla cosca dei milanesi.  Nell’informativa della Squadra Mobile  sono citate integralmente le conversazioni tra boss.   

Il cellulare di uno degli indagati grazie a un trojan si trasforma  nella microspia che documenta la riunione mafiosa.  Il 30 maggio 2019 i fratelli Concetto e Simone Bonaccorsi, figli del boss ergastolano Ignazio, incontrano il reggente – all’epoca – dei Cursoti Milanesi Carmelo Di Stefano , che è affiancato da Natale Gurreri e Giuseppe Piterà.    

Per gli investigatori il rendez-vous sarebbe stato richiesto  «dai due fratelli su indicazione del “vecchio”, che è identificato nel padre Ignazio Bonaccorsi». Qualche giorno prima, infatti, il capo bastone dei Cappello-Carateddi ha “usufruito” di un permesso di due ore a Catania durante il quale ha parlato con il figlio Simone. Sarebbe stato quello il momento in cui ci sarebbe stato “l’ordine” di parlare con Distefano dei proventi della  “casa di iocu”, come la chiama Concetto Bonaccorsi – da non confondere con lo zio pentito –  che è coinvolto nel blitz Camaleonte nel 2020 (già arrivato in appello).

La discussione è animata: in ballo infatti ci sono i soldi per il mantenimento degli affiliati dietro le sbarre, sia Concetto (“ci sono i soldi dei detenuti, Melo!!”), che Simone (“siccome i diritti i detenuti se li chiamano e se li chiamano bene… per me sono tutti uguali”) lo evidenziano più volte al boss dei Milanesi.  

I due fratelli decidono di avere un confronto con Di Stefano ritenuto più affidabile («ti reputo più serio anche dei miei compagni») prima di avere un faccia a faccia con Giovanni Pantellaro, in quel periodo ritenuto  reggente del clan Cappello, per avere dettagli sulla spartizione dei profitti della bisca. E più precisamente se nella distribuzione avessero conteggiato anche i Bonaccorsi: «No, però era per capire loro, questi soldi loro li hanno recuperati? Questo voglio capire, fratello…».

Analizzando il dialogo emerge che Distefano ha partecipato a un appuntamento in cui Vincenzo Cultraro, cognato di Antonio Bonaccorsi, ha proposto di far pervenire parte dei guadagni anche ai due fratelli nonostante quell’anno non avessero investito nella bisca. Una proposta che avrebbe trovato il consenso sia di un certo Zuccaro (verosimilmente Giuseppe) che del capomafia dei Cursoti. Quest’ultimo però ha dato una condizione: «Io lo faccio perché ̀ sono proprio loro e lo faccio, però hanna arrivari unni hanna 'ghicari”». 

La casa da gioco però  avrebbe fruttato  al di sotto delle aspettative. «Hanno dato tutti assegni e cinquemila euro liquidi abbiamo recuperato», lamenta Distefano evidenziando «che ogni clan mafioso aveva investito 20 mila euro».

Ma questi problemi ci sarebbero stati anche in passato quando i Bonaccorsi avrebbero contribuito “con 33 mila euro”. Ed è in questo passaggio che si scopre che fino al 2018  nella bisca «c'erano "carcagnusi" (Mazzei), c'erano dalla parte di "Nitto" (Santapaola)»  e che la spartizione avveniva secondo schemi proporzionali («noialtri l'anno scorso ne abbiamo presa una parte, tre persone… cioè… siccome le famiglie erano tre… sopra al cento per cento ne spetta… trentatrè̀… trentatrè e trentatrè…»).

Con i Santapaola ci sarebbero state discussioni accese. Addirittura Bonaccorsi avrebbe chiesto conto e ragione a Giuseppe “Enzo” Mangion (noto esponente di Cosa nostra) del fatto che Turi Copia si sarebbe appropriato dei proventi: «Ha preso i soldi di tre famiglie e se li è girati».

Ma se  fino all’anno prima le famiglie interessate alla “casa da iocu” sarebbero state tre,   poi nell’affare  avrebbe investito – anche come prova di forza mafiosa –  anche Carmelo Distefano.  «4 famiglie 80 mila euro».  

Pubblicato da:
Alfredo Zermo
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