Ha aspettato la fine della cerimonia per parlare con i giornalisti. Si è insediato oggi, a Catania, il procuratore Francesco Curcio. Un lungo applauso si è levato dal pubblico delle aule adunanze quando il presidente del Tribunale di Catania, Francesco Mannino ha ufficializzato l’insediamento. «Aspettiamo la firma, però», ha detto Mannino con ironia. La prima a intervenire è stata Agata Santonocito, il procuratore aggiunto facente funzioni (a cui tutti hanno riconosciuto una grande sobrietà e notevoli capacità nell’assolvere il suo ruolo in questo anno appena passato) ha dato il benvenuto a Curcio evidenziando che «avrà una grande squadra di magistrati con cui lavorare. Non è il giardino dell’Eden, ci sono, come in tutti gli uffici, delle criticità, ma sicuramente troverà collaborazione e abnegazione». In prima fila erano presenti i componenti del Csm Marco Bisogni (togato) e Felice Giuffrè (laico), che hanno parlato di massima collaborazione del Consiglio. Ed è arrivato da Roma anche Giovanni Melillo, il procuratore nazionale antimafia, che ha voluto rimarcare lo spirito di «sinergia con la procura di Catania».
Curcio prendeva appunti mentre il presidente della Corte d’Appello, Filippo Pennisi, gli ha augurato «buon lavoro per la nuova sfida». Poi ha preso la parola il procuratore generale di Catania, Carmelo Zuccaro. Il pg rimarcando il ritardo nell’insediamento «che ritengo non giustificabile», ha dato il suo “in bocca al lupo” al capo degli uffici giudiziari di Catania, ruolo che lui ha rivestito fino a ottobre 2023.
Il discorso di insediamento è stato imperniato sullo spirito della “democrazia partecipata”, come invita la nuova circolare delle procure arrivata dal Csm. «Ringrazio la buona sorte che mi ha consentito di svolgere il lavoro di magistrato», ma anche di «avere avuto l’opportunità di farlo a Catania, città con tanti contrasti che ha necessità di una giustizia efficiente». Ha detto Curcio, sottolineando che è «l’incarico più importante» della sua carriera che svolgerà «ascoltando e confrontandosi con gli altri».
Fuori da ogni banale scaletta di priorità, il procuratore Curcio ha evidenziato quello della «criminalità organizzata che muta pelle e si sta trasformando sempre più in comitato d’affari, vestendo sempre più i panni di un colletto bianco». Poi ha ricordato anche le «violenze domestiche e l’uso spregiudicato degli strumenti finanziari e dell’economia, attraverso i quali si riciclano i proventi dell’attività illecita».
«Ringrazio chi mi ha preceduto -ha detto- provo ammirazione per i colleghi Carmelo Zuccaro e Agata Santonocito, li conosco personalmente e spero di non farli rimpiangere. La Procura è una squadra, con cui sono felice di lavorare, è assurda la figura di un capo dell’ufficio che sta da solo in testa al comando. Potrà sembrare improprio parlare di una gestione democratica dell’ufficio, ma occorre confrontarsi con tutti coloro i quali ne fanno parte, perché il risultato di uno è il risultato di tutti». Curcio cita il giurista Calamandrei: «Ha detto che il ruolo più difficile è quello che pubblico ministero e senza comprensione di importanza, equilibrio e saggezza non si fa nulla».
Curcio alla fine della cerimonia ha risposto alle domande dei giornalisti, con cui promette ci sarà un «rapporto di collaborazione». «Catania è una città ricca di fermenti, di forze positive, con i problemi che conosciamo tutti e che io devo approfondire e conoscere nei prossimi mesi: ‘nessuno nasce imparato’, si dice», commenta Curcio.
Il procuratore di Catania intende dare un pressing alla lotta della tratta di esseri umani, che è un fenomeno molto più ampio dell’immigrazione clandestina. «Catania è una delle migliori Procure d’Europa, e non soltanto d’Italia, sul profilo dell’inchieste sull’immigrazione clandestina e noi dobbiamo implementare questa attività visto che ci sono delle professionalità che ci invidiano all’estero. L’Italia, nel 2006, ha sottoscritto il trattato che prevede il contrasto e la punizione dei trafficanti, ma, nello stesso tempo l’assistenza a chi è vittima di tratta», ha detto.
Discutendo di immigrazione, il tema della bagarre tra politica e magistratura è stato toccato da diversi interventi come quello del presidente del Coa di Catania, Ninni Distefano: «La Città è coinvolta in un aspro confronto tra le Istituzioni che vede coinvolta la Giurisdizione e si realizza attraverso la personalizzazione e la delegittimazione reciproca. Queste battaglie non possono concludersi con vincitori e vinti perché se questo accadesse tutti saremmo sconfitti e prima di tutto la nostra democrazia». Il presidente della camera penale “Serafino Famà” di Catania, Francesco Antille ha insistito sul valore del «giusto processo e del diritto di difesa».
Sullo scontro tra toghe e governo, Curcio è lapalissiano: «Ognuno deve fare quello che gli spetta. Ai magistrati interpretare le leggi che hanno una loro gerarchia: c’è la Costituzione, i trattati internazionali, le leggi dello Stato e quelle regionali. E noi dobbiamo mettere insieme questo mosaico. La politica ha un compito più alto del nostro, perché deve dare l’indirizzo politico. Però questo non significa che noi dobbiamo venir meno al nostro lavoro».
Le domande poi si sono concentrate anche sui ricorsi pendenti al Tar presentati da tre aggiunti di Catania. Il procuratore alla domanda di una giornalista se «per questa nomina ha lottato», ha risposto semplicemente: «no, ho fatto la domanda e basta». Ma una cronista ha insistito andando direttamente al punto della contabilità numerica dell’esperienza quadriennale nel ruolo direttivo. «Decideranno i giudici», ha detto senza scomporsi.
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