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LA STORIA

Catania, rifiuta di pagare il pizzo e denuncia: ma l’estorsore libero lo minaccia e lo aggredisce

La vicenda di un imprenditore etneo che ha affrontato il processo, ha visto l’aguzzino condannato, ma non in cella

Di Laura Distefano |

Ha denunciato. Non una volta. Decine di volte. Ha affrontato un processo senza mai abbassare la testa e dopo anni ha sentito la parola condanna pronunciata da un giudice. Ma nonostante una sentenza “pesante” l’imprenditore della provincia di Catania ha continuato e continua a incontrare il suo aguzzino a piede libero. Non lo incrocia  nelle aule giudiziarie, dove si sta svolgendo il processo d’appello, ma anche nei luoghi che frequenta e vicino alla sua azienda (dove ha subito anche diversi danneggiamenti). L’ultimo “rendez-vous” non voluto è stato tra Natale e Capodanno: è stato aggredito fisicamente e minacciato  di morte.

Una storia che  nel giorno dell’incontro con il Commissario straordinario del governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, Maria Grazia Nicolò, diventa quasi un manifesto. 

L’imprenditore oggi si sente Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento. Non ha smesso di avere coraggio, ma ha smesso di credere in un sistema da cui non si sente tutelato. E come dargli torto?

Una storia che amareggia non solo la vittima ma l’intero mondo dell’antiracket. Accanto all’imprenditore c’è sempre stata l’associazione Antiracket di Catania “Libero Grassi” che dopo quanto accaduto ha anche pensato di mollare. 

Nicola Grassi , oggi, non tirerà alcun freno a mano. «La misura è colma – dice, anzi urla,  a La Sicilia  – abbiamo sempre attivato innanzitutto i canali istituzionali per sensibilizzare rispetto a situazioni critiche non lasciando nulla di intentato. Ma ora, di fronte all’ennesima aggressione nei confronti di chi ha sempre denunciato mantenendo un comportamento civico esemplare, proviamo un senso di amarezza e frustrazione che ci ha  spinto a pensare di chiudere l’associazione dopo 31 anni». Sono parole che il presidente dell’Asaec  ha intenzione di ripetere anche alla commissaria Nicolò.

Grassi è convinto che ancora ci sia molta paura alla denuncia ma è anche consapevole che ci sono falle che demoralizzano a rivolgersi alle forze dell’ordine. Un imprenditore che denuncia va tutelato e protetto contro chi ha deciso di denunciare. 

«Ha ragione  il prefetto Francesco Messina, Direttore centrale anticrimine della Polizia, quando associa il drastico calo delle denunce ad una mancata reazione civica. Ma questo è solo in parte vero –  aggiunge il presidente Asaec –  infatti,  se da un lato vi è una pericolosa assuefazione sociale al pizzo, dall’altro vi è una diffidenza a denunciare».

Un sistema che si accartoccia su se stesso soffocandosi. Ogni attore deve fare autocritica. La risposta dello Stato arriva con i blitz e gli arresti. Ma dopo? Qualche ingranaggio si inceppa.  

Il vertice dell’associazione antiracket  va ancora una volta dritto al punto: «La domanda che ci dovremmo porre è: perché pochissimi denunciano? Indispensabile, se non addirittura preliminare alla strategia di contrasto da adottare, indagare sul perché si continui a cadere vittima di aguzzini senza scrupoli o addirittura diventarne complici. Scarsa conoscenza degli strumenti di contrasto? Sfiducia verso una pronta e decisa reazione degli organi giudiziari? Inefficacia della funzione sociale dell’antimafia che certamente andrebbe rivista ripartendo “dal basso”?».

I volontari non possono vestire i panni di supplenti delle Istituzioni. «Ma come possiamo, noi associazioni di volontari, sensibilizzare alla denuncia quando vi è una Giustizia lenta e non in grado di dare risposte adeguate a chi ha coraggiosamente denunciato liberandosi dalla prepotenza criminale?», si chiede Grassi. Oggi serve una risposta. Il tempo è scaduto.   COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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