Cinque provvedimenti cautelari sono stati notificati dalla Polizia di Catania su ordine del Gip del Tribunale etneo che ha accolto la richiesta della Dda catanese ad altrettante persone accusate di ricettazione di rame. Ai domiciliari sono finiti Giuseppe Lo Miglio, 59 anni, Vincenzo Lo Miglio di 43 anni, Francesco Santagati di 58 anni e Vincenzo Santagati di 66 anni, mentre l’obbligo di dimora è stato imposto a B. R. di 48 anni.
L’inchiesta è stata condotta dalla Squadra Mobile in collaborazione con personale della Polizia Provinciale di Catania, con il coordinamento della Procura di Catania, e ha consentito di individuare un’articolata filiera di commercializzazione di rame rubato, dal furto fino alla commercializzazione sul mercato attraverso un percorso di “ripulitura” che avveniva grazie a documentazione fittizia (fatture, documenti di trasporto, etc).
La tecnica utilizzata dai gestori delle aziende interessate era quella di simulare l’acquisto del metallo rosso puro sotto forma di cavi di rame con quello di rottami di rame o altro materiale ferroso.
Tutto è cominciato dopo un controllo della Squadra Mobile e della Polizia Provinciale nei pressi di una ditta di raccolta di materiale ferroso in via Gelso Bianco e riconducibile ai fratelli Giuseppe e Vincenzo Lo Miglio, nel corso del quale all’interno di un’autovettura fu rinvenuto un ingente quantitativo di cavi di rame, risultati rubati alla Telecom a Priolo.
Alla fine gli investigatori avrebbero appurato che la ditta dei fratelli Lo Miglio era un collettore del metallo che, dopo averlo ricevuto per il tramite di una società di trasporti catanese, lo trasferiva ad altra ditta di Misterbianco, riconducibile ai fratelli Santagati. Ai Lo miglio la Procura contesta anche anche episodi di ricettazione di tombini in ghisa e rispettivi alloggiamenti per lo scolo delle acque di provenienza furtiva. A B. R. è stato contestato un solo episodio di ricettazione.
Nel corso delle indagini sono state sequestrate oltre sei tonnellate di rame e materiale ferroso di provenienza illecita. Secondo gli investigatori nel solo 2012 i profitti illeciti derivanti dall’attività sono stati di almeno 250 mila euro. L’inchiesta è stata denominata Copper.