Quando nell’estate del 2021 scattò l’inchiesta antidroga Piombai l’opinione pubblica fu colpita dall’immagine – diffusa dai carabinieri – di una indagata che spacciava tenendo in braccio un bimbo. Un frame tratto da uno dei tanti filmati raccolti dalle telecamere piazzate nel fortino del crack che lasciarono amaro in bocca ma anche senso di impotenza. Impotenza per l’ennesima prova di come molti ragazzini catanesi crescono a pane e droga. E quello che agli occhi di un innocente sembra un gioco poi diventa inquietante normalità. Un risvolto sociale che diventò cruciale nel racconto dell’indagine.
L’inchiesta documentò lo smercio di sostanze stupefacenti all’interno di un cortile di un palazzo di via Piombai a San Cristoforo. Un fortino della droga che avrebbe avuto come “capo-piazza” Alfio Giovanni Di Martino, che sarebbe stato coadiuvato anche dalla moglie Silvia Maugeri e dalla cognata Georgiana Bontu. La quota rosa dell’organizzazione criminale avrebbe avuto la delega alla gestione degli incassi. Incassi che dovevano essere nascosti bene. Ma quando mancavano “gli uomini’ le donne sarebbero state pronte a sostituirli. Purtroppo incuranti – come detto – anche della presenza dei figli. Alcuni piccolissimi.
Di Martino sarebbe stato molto violento. Guai a distrarsi. Si rischiava la mano pesante del “leader” del gruppo criminale. Alcune vedette sono state picchiate e costrette a subire derisioni ed umiliazioni. Scene che poi, al fine di dare una lezione agli altri soldati della spaccio, erano registrate sul cellulare e poi condivise sui social. C’è stato chi è stato “costretto” a immergersi tra i rifiuti di un cassonetto, oppure chi si è fatto avvolgere il volto con del nastro isolante.
A fare da “guardia” al “fortino” dello spaccio c’erano dei pitbull, ma i pusher avevano anche installato delle telecamere. Strategia che però non ha bloccato le indagini dei carabinieri, che sono riusciti a seguire in diretta gli affari criminali che avvenivano nel cortile comune alle abitazioni della famiglia di Di Martino, il cui accesso è consentito solo da due portoni blindati.
Sono trascorsi meno di due anni dall’operazione e già si è arrivati alla sentenza di primo grado del processo abbreviato. Rito scelto da 20 imputati. Il gup Sebastiano Fabio Di Giacomo Barbagallo, dopo aver ascoltato la requisitoria dei pm Tiziano Laudani e Fabrizio Aliotta e le arringhe dei difensori, ha inflitto pene dai 16 anni ai 3 anni. Ad alcuni sono state riconosciute le attenuanti e anche la continuazione con altre sentenze. Il capo piazza Alfio Giovanni Di Martino è stato condannato a 16 anni e 8 mesi, la moglie Silvia Maugeri e la cognata Georgiana Bontu a 8 anni, Giuseppe Di Martino a 7 anni, Giuseppe Di Mauro – difeso dall’avvocato Gianluca Costantino – a 5 anni.
Ma ecco tutte le condanne così come sono state scritte nel dispositivo di tre pagine letto dal gup: Alfio Giovanni Di Martino, 16 anni e 8 mesi, Carmelo Motta, 16 anni, Angelo Guarneri, 9 anni e 6 mesi, Domenico Marchese, 8 anni e 2 mesi, Georgiana Xenia Bontu (alias Georgiana Xenia Ibram), 8 anni, Silvia Monica Maugeri, 8 anni, Orazio Laudani, 8 anni, Pietro Pulvirenti, 8 anni, Giuseppe Di Martino, 7 anni, Dario Domenico Blandini, 6 anni, Vincenzo Pantellaro, 6 anni, Carmelo Pulvirenti, 6 anni, Antonino Bonaceto, 6 anni, Antonio Giovanni Bonanno, 5 anni, Giovanni Marchese, 5 anni, Vita Giuffrida, 5 anni, Giuseppe Di Mauro, 5 anni, Sergio Fortunato Messina, 4 anni, 2 mesi e 21 mila euro di multa, Giuseppe Spampinato, 3 anni e 4 mesi, Giuseppe Romeo, 3 anni e 14 mila euro.
Le motivazioni del giudice saranno depositate tra 60 giorni.