Catania: l'eredità dello spaccio, la sentenza della Cassazione
Due dei condannati, agli arresti domiciliari, sono stati arrestati dai carabinieri e condotti in carcere
È arrivata la sentenza della Suprema Corte di Cassazione del processo frutto dell’inchiesta Eredità. I carabinieri della compagnia di Piazza Dante nel 2019 riuscirono a far chiudere bottega alla piazza di spaccio gestita da Salvatore Puglisi, detto Zecchinetta, e dal figlio Filippo. Da lì il nome del blitz. L’area attorno al campo scuola di Picanello era diventato un mercato della droga a cielo aperto. E le telecamere piazzate dagli investigatori riuscirono a registrare moltissime cessioni. Il tournover stimato era di 10.000 euro al giorno. Piccola curiosità - già riscontrate in altri luoghi di smercio di sostanze stupefacenti - era quella che pusher e vedette erano ingaggiate in partnership con l’altro gruppo criminale che operava in zona. Un modo per abbassare i costi di “lavoro” e creare alleanze utili a evitare scontri sulle spartizioni del territorio .
I militari del nucleo investigativo del comando provinciale, in questi giorni, hanno arrestato due dei condannati che hanno affrontato il processo ai domiciliari. La procura generale, l’ufficio esecuzioni penali, ha fatto i conti e ha emesso l’ordine di carcerazione nei confronti di Anthony Nastasi, 24 anni e Benedetto Maicol Accardi, 31 anni. I due ora sono nel carcere di Piazza Lanza.
Ma vediamo il dispositivo della Cassazione per tutti gli imputati che hanno impugnato la sentenza d’Appello: «Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Sebastiano Giovanni Massimino (6 anni in appello) limitatamente alla statuizione relativa alla libertà vigilata con rinvio per nuovo giudizio. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Dichiara inammissibili i ricorsi di Accardi, Cesare D’Anna (7 anni e 4 mesi), Sebastiano Guerrera (8 anni), Nastasi, Giuseppe Nastasi (9 anni e 4 mesi), Filippo Puglisi (10 anni e 8 mesi), Salvatore Puglisi (14 anni 5 mesi e 10 giorni) e Andrea Nicholas Urzì (7 anni e 4 mesi)».
L’inchiesta partì dopo l’arresto di alcuni pusher in via Timoleone. La presenza di Puglisi senior ha destato i sospetti degli investigatori anche in virtù delle dichiarazioni del pentito Antonino D’Arrigo, quello che ha dato input per incastrare i Santapaola di Picanello. Ai magistrati ha spiegato che quella di Puglisi «é un’organizzazione familiare che non è associata ad alcun gruppo criminale, ma è vicina ai Morabito». Quest’ultimi, che vivono nel rione con tanto di marchio dorato sul portone, sono tra i narcotrafficanti più influenti della città.