CATANIA – “Che vergogna”, “che incoscienza”, “adesso la curva del contagio risalirà”. Ormai ci siamo abituati alle immancabili bordate che molti lanciano attraverso i social all’indomani di una giornata festiva in cui la gente decide di uscire di casa. Oggi qualcuno scriverà, con ironia, che ieri mattina, da piazza Mancini Battaglia a piazza Europa, il “lungomare liberato” è stato un successo, visto la folla che ha invaso piazze e marciapiedi. E qualcun altro, con altrettanta ironia, posterà che in via Etnea, tra bancarelle regolari e ambulanti abusivi, sembrava di essere nei giorni della festa agatina di un anno senza pandemia.
In realtà scriverebbero il vero, perché è andata proprio così: folla delle grandi occasioni in tutti i luoghi amati dai catanesi, traffico di auto sostenuto, stazionamenti in piazza Duomo e nel borgo di San Giovanni Li Cuti nonostante i divieti. E dunque, come ce ne usciamo? Niente e nessuno ieri vietava ai catanesi di uscire, ma veniva imposto loro di rispettare le misure di prevenzione dal contagio, ovvero indossare la mascherina protettiva ed evitare assembramenti.
Ebbene, il 10% di chi affollava il lungomare, la via Etnea e il corso Italia, tanto per citare i luoghi più battuti, non indossava la mascherina. L’8% di questi erano ragazzi di un’età compresa tra 14 e 20 anni. Il 2% adulti forse convinti che il virus sia un’invenzione di chissà quali lobby internazionali. Sono questi, a modestissimo parere di chi scrive, i comportamenti da condannare (oggi forse sapremo se le forze dell’ordine e la polizia locale, ieri in campo con l’ausilio dell’Esercito, hanno elevato sanzioni) e non il fatto che la gente esca di casa. Perché se la legge lo consente, tutti ne hanno diritto.
Tra l’altro ieri, visto che siamo in zona gialla, bar e ristoranti erano aperti e fino alle 18 era possibile il servizio al tavolo. E chi è rimasto aperto, soprattutto nelle zone del centro storico, del lungomare, della montagna, è stato preso d’assalto da gruppetti di amici e famiglie stanchi di sacrifici che durano ormai, con brevi pause, da un anno.
«Abbiamo registrato un vero e proprio assalto ai locali di somministrazione – dice Giovanni Trimboli, responsabile provinciale dei ristoratori della Fipe Confcommercio -. La mattina tanta gente ha preso il caffè nei bar, poi molti hanno fatto l’aperitivo e davvero tanti sono andati a pranzo nei ristoranti. Un buon 25% di noi, però, ha deciso di rimanere chiuso. Ed è comprensibile. Questa assenza assoluta di programmazione che non ti consente di sapere se resterai aperto due giorni, due settimane, due mesi o chissà quanto, non aiuta l’imprenditore che dovrebbe richiamare il personale in cassa integrazione, ristabilire i rapporti con i fornitori e rimettere in piedi un’attività che ha bisogno di certezze e non può vivere alla giornata. Vediamo domani (oggi, ndr.) – aggiunge Trimboli – cosa sarà stabilito nel nuovo Dpcm, e speriamo che ci siano certezze che ci consentano di fare un’adeguata programmazione. Anche per l’estate, visto che alcuni di noi potrebbero rilevare, come gli altri anni, i punti ristoro negli stabilimenti balneari che offrono questa opportunità ai loro clienti».