Cronaca
Catania e quei quartieri “proprietà” della mafia dove è difficile affermare la forza dello Stato
CATANIA – «Un quartiere di Catania, quello di San Berillo Nuovo, viene ritenuto da gruppi criminali come terreno di propria competenza, non come di competenza dello Stato e soprattutto del cittadino comune. Loro pensavano che questo quartiere fosse un contesa interna ai gruppi mafiosi». Sono le parole del procuratore capo della Repubblica di Catania Carmelo Zuccaro, pronunciate ieri a margine della conferenza stampa sull’operazione antimafia che ha portato in carcere 40 affiliati ai clan Cappello e Cursoti milanesi che gestivano due piazze di spaccio a 100 metri di distanza l’una dall’altra nei pressi del corso Indipendenza.
C’erano pure le bandiere, una americana e una del Milan a delimitare le zone dei due gruppi mafiosi. Quelle furono messe dai due clan dopo la ritrovata pax mafiosa seguita a una quasi sparatoria. Può sembrare una banalità, ma quelle bandiere marcavano un territorio, erano un segnale ai rivali ma forse anche alle forze dell’ordine e agli abitanti della zona. L’operazione di ieri è stata denominata “Tricolore” proprio per riaffermare la presenza dello Stato in un quartiere dove i clan hanno il controllo continuativo e permanente dell’intera zona, anche grazie a pusher e vedette.
«Il quartiere deve tornare ai cittadini – ha detto ieri Zuccaro – e non sarà assolutamente consentito che queste aree di spaccio si riformino nel quartiere. L’operazione Tricolore testimonia questo aspetto. È lo Stato che prevale».
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Bene, vorremmo tutti che fosse così, vorremmo vedere sventolare tutti i giorni il Tricolore nei “quartieri”. Ma purtroppo non bastano le operazioni di polizia ad affermare la forza dello Stato. San Berillo nuovo non è l’unico quartiere di Catania dove lo Stato è assente e anche le forze dell’ordine hanno difficoltà ad entrare. San Cristoforo, Librino, San Giovanni Galermo, Picanello, tutte zone di Catania di cui lo Stato dovrebbe riappropriarsi, ma dove ormai è difficile fare attecchire il seme della legalità. Perché? Perché in questi quartieri sono in tanti a guadagnare con la droga. Non solo i clan, i boss, le loro famiglie, i pusher, le vedette ma anche a volte gli abitanti, a volte premiati solo per la loro “omertà”. A chi conviene ribellarsi? A chi conviene cambiare le cose? Con le cosche girano soldi, il quartiere magari resterà sporco e malfamato, ma in casa ci sono i soldi per mangiare, per comprare i vestiti, per uscire.
Se lo Stato non riesce a offrire un’alternativa, se non bonifica questi luoghi, se non si presenta quotidianamente con nuove opportunità, sarà sempre l’antiStato ad attecchire. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. Se è vero come e vero che anche dopo una maxiblitz in questi quartieri gli “affari” riprendono come se nulla fosse.
Le immagini dell’operazione Tricolore hanno dimostrato come gli spacciatori si sentivano “padroni” della loro zona. Il clan Cappello-Bonaccorsi spacciava prevalentemente cocaina all’angolo tra Corso Indipendenza e via La Marmora. A capo vi sarebbe stato Lorenzo Christian Monaco – tra gli arrestati -, considerato dagli investigatori colui che aveva ricevuto da Salvatore Bonaccorsi, figlio di Lorenzo (entrambi oggi collaboratori di giustizia) – l’investitura per gestire l’attività nel complesso, preoccupandosi anche di definire i confini con gli altri gruppi mafiosi che operavano sul territorio. Il giro d’affari era di 5.000 euro al giorno. La seconda piazza di spaccio, gestita da diverse persone riconducibili al clan dei «Cursoti Milanesi», era nella vicina via San Leone. Vi si spacciava sia marijuana, con un giro d’affari di 500 euro al giorno, che cocaina, con cui giornalmente il gruppo introitava dai 6.000 agli 8.000 euro. I proventi dello spaccio non erano solamente destinati all’autofinanziamento ma anche al mantenimento dei sodali in carcere e di tutto il “sistema”.
Fiumi di denaro che lo Stato non potrà mai immettere in questi quartieri, dove non dovrebbero essere solo le operazioni di polizia ad affermare la legalità. Parliamo di zone che andrebbero pulite, riqualificate, fornite di servizi, coinvolte in progetti cittadini. «Lo Stato e la mafia sono due poteri che occupano lo stesso territorio» diceva Paolo Borsellino. Ma l’illegalità diffusa non può essere combattuta solo con i blitz delle forze dell’ordine.