Catania, così Antonino Pulvirenti & Co
Catania, così Antonino Pulvirenti & Co hanno portato la Wind Jet al crack
L'atto d'accusa della Procura di Catania: 17 indagati / VIDEO
Un marchio stimato 319 euro nel 2004 che l’anno successivo è venduto per 10 milioni di lire a una società dello stesso gruppo, fatture gonfiate per creare fondi, relazioni di revisori dei conti retrodatate.
Era la Wind Jet, secondo la Procura di Catania che ha coordinato l’inchiesta che ha portato agli arresti domiciliari per bancarotta fraudolenta il presidente della compagnia aerea, Antonino Pulvirenti, che è anche l’ex patron del Calcio Catania, e l’amministrazione delegato della società low cost, Stefano Rantuccio. Il provvedimento del Gip Giuliana Sammartino, che non ha accolto la richiesta di detenzione cautelare in carcere sollecitata dai Pm, è stato eseguito dalla guardia di finanza del comando provinciale e del nucleo di polizia Tributaria di Catania. Sospesi dalla professione per un anno Angelo Agatino Vitaliti, componente del Cda di Wind Jet, Vincenzo Patti e Paola Santagati, rispettivamente presidente del collegio sindacale e commercialista della compagnia aerea.
Il Gip ha disposto il sequestro di beni personali per oltre 5 milioni. Wind Jet, che nel 2009 era la prima compagnia low cost in Italia, con tre milioni di passeggeri, in realtà, sostiene la Procura di Catania, non poteva volare da almeno quattro anni perché, spiegano i Pm, “nel 2005 il suo bilancio aveva un passivo di 600 mila euro che tecnicamente non le permetteva di operare”.
Poi, con una serie di “operazioni di maquillage di bilancio, con una bancarotta che si è dipanata negli anni”, grazie anche “a controllori che non hanno controllato”, si è tenuta la compagnia aperta. Tra gli interventi di “maquillage contabile” è citata la vendita alla Meridi, società del gruppo Pulvirenti, del marchio di Wind Jet per 10 milioni di euro: una supervalutazione visto che nel 2004 in bilancio era stimato 319 euro. Poi ricomprato per 2,4 milioni.
Oppure, come ricostruisce il Gip Sammartino nell’ordinanza, nell’acquisto di un pezzo di motore che, si legge nelle mail tra società, ha uno show price (prezzo esposto) di 1,5 milioni di dollari, con tanto di fattura retrodatata, mentre il real price (prezzo reale) era di 700 mila dollari.
Dopo essere stato sentito dai Pm di Catania un manager di Wind Jet, indagato e intercettato, spiega l’operazione al telefono: “Cosa ha fatto Rantuccio: ha pagato il kit 1,5 milioni e si è fatto restituire 800mila dollari”.
Ma la realtà andrebbe oltre l’interpretazione: per la Procura, infatti, l’acquisto sarebbe stato totalmente inesistente. Agli atti dell’inchiesta anche la sopravalutazione operata da due imprenditori stranieri dei rottami dell’aereo incidentato nel 2010 in un atterraggio all’aeroporto di Palermo: danni stimati in oltre 21 milioni di euro a fronte di un valore riconosciuto dalla società assicuratrice di circa 600 mila euro. E fari anche su un mutuo acceso da Wind Jet per pagare 1,8 milioni di dediti con Finaria.
Per i legali di Pulvirenti e Rantuccio, gli avvocati Giovanni Grasso e Fabio Lattanzi, non c’è stato alcun “maquillage”. Anzi, “escludono nel modo più assoluto condotte distrattive a danno della Wind Jet”. Come confermato, osservano, “dalla relazione di consulenza tecnica depositata nei mesi a firma di un noto esperto del settore che dimostra la correttezza dei bilanci e dell’operato degli amministratori” della compagnia aerea. Ma i nodi del bilancio sono venuti al pettine nell’agosto del 2012 con gli aerei a terra, a fronte di 20milioni di euro incassati con biglietti già emessi, e 500 dipendenti a casa.
Un fallimento evitato con l’accesso, nel maggio del 2013, a un concordato preventivo per fare fronte a un passivo di 238 milioni di euro e a un debito con l’Erario di 43milioni. Ed è partita l’inchiesta della Procura di Catania e le indagini della guardia di finanza che, con rogatorie all’estero, hanno ricostruito seguendo soldi e conti, sequestrando mail e server, in Italia, ma anche agendo in Gran Bretagna, Francia, Svizzera e Stati Uniti. Seguendo i soldi sono stati ipotizzati i reati. E, sottolineano il procuratore Michelangelo Patanè e i sostituti Alessia Natale, Alessandra Tasciotti e Alessandro Sorrentino, “l’inchiesta non è ancora finita”.
Si scava sulle società del gruppo. Si cercano altri fondi: si parla di 150 milioni di euro. Sedici milioni sono stati denunciati dallo stesso Pulvirenti, che ne ha fatto rientrare 3,5: uno è servito per il concordato, gli altri soldi per il Calcio Catania, che non è toccato dall’inchiesta Icaro. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA